Prendo spunto dall’articolo d’un amico per analizzare un po’ l’ultima ondata repressiva abbattutasi sulla Capitale. Siamo alle solite. E quel che è peggio è che neanche ci sorprende più. Questa abitudine tutta italiana di bypassare i problemi, di non voler proprio cercare le soluzioni, perché le proibizioni sono più a portata di mano, oltre che più efficaci ad una prima occhiata. Perché sbattere la testa su programmi razionali, quando si può tranquillamente contare sui divieti. Però il cerchio non si chiude solo con la minaccia d’una sanzione, perché tutto fila apparentemente liscio fino a quando è fatta rispettare, ma è solo per coazione che tutti si adegueranno ad essa e prova ne sia che se la si elimina, i comportamenti si riallineeranno allo status quo. E peraltro è normale che sia così, soprattutto quando il divieto trova fondamento su basi concrete quanto mai fragili. Misure adeguate e non sotto la minaccia d’una pena, quelle sì hanno molte probabilità in più d’essere rispettate spontaneamente e quindi durevolmente. E non c’è niente di peggio che dover subire le conseguenze dei comportamenti altrui. E non parlo della regola causa-effetto d’un passante che mi da all’improvviso un pugno in faccia e che mi fa ritrovare a terra, ma di quando ci vengono imputati problemi di cui non siamo noi la causa. I problemi, oggettivamente innegabili, che si vengono a creare soprattutto la sera, nelle grandi città come Roma, non si risolvono da un giorno all’altro. E su questo siamo tutti d’accordo. Ma non si va al pronto soccorso per un raffreddore. Soprattutto non si giudicano i problemi con la fretta dettata da esigenze di visibilità politica e con l’obiettività di chi preferisce attraversare il fiume su un ponticello traballante, piuttosto che allungare un po’ e passare sulla terra ferma. Quale scrupoloso medico ha fatto la sua diagnosi stavolta? Roma è malata? Si vedono flotte di particelle che la infestano ogni sera banchettando e schiamazzando ovunque. E questo male va sradicato ad ogni costo. Anche se dovesse essere necessario eliminare anche gli anticorpi. D’altra parte non c’è né tempo né possibilità di stare a distinguere questi dai batteri. Vietiamo la vendita di alcolici e rafforziamo la cura triplicando le visite di controllo in mano alle forze dell’ “ordine” e questa sferzata antibiotica risolverà ogni problema. Se non fosse che interrotta la profilassi, il paziente senza più anticorpi va incontro a destini ben peggiori di prima. Perché il bravo medico visita scrupolosamente l’ammalato e prescrive una cura che sia tarata sulle reali condizioni dello stesso e non prescritta forfettariamente. Perché in quest’ultima ipotesi qualcuno magari si salva, ma qualcun altro ci lascia le penne. Non solo, ma quello stupisce di più è che in una situazione in cui il male è certamente dovuto al concorso di varissime situazioni debilitanti, l’Ippocrate del senso civico abbia individuato una sola causa. E stranamente solo la più appariscente. Col classico trasandato lassismo di chi punti tutto sul numero dei visitati e non sulla qualità della cura. Perché se provasse a vedere quali e quante sono realmente le cause, sarebbe costretto a seguire il paziente molto più da vicino e con ben altro dispendio d’energie. E quindi tutto e tutti, attaccabrighe e urlatori, calciatori notturni e predatori sessuali, evasi e picchiatori professionisti, xenofobi e recidivi, esaltati della pista sia quella da ballo che quella da sballo, trovano tutti la causa della propria “urbanisticamente indecorosa” euforia, nell’alcol da asporto. Senza differenze oltretutto tra chi ne abusi realmente e chi se lo goda invece per passione. D’altra parte è anche medicalmente risaputo che l’alcol bevuto per strada è ben più inebriante di quello consumato tra quattro mura e che se bevessi una birra alle 22.00 fuori dal pub di un amico, avrei istinti criminosi ben peggiori di se prosciugassi una bottiglia e mezzo di whisky seduto dentro a un tavolo. Sta tutto nell’aria secondo la mia attenta diagnosi, quand’è “aperta” è più narcotizzante, anche per colpa di Sirchia (forse era in combutta con tutti questi lestofanti?) che ha dato a tutti il permesso di fumare fuori. E anzi è ingrato, chi non senta di dover anche un ringraziamento ai saggi terapeuti del Comitato provinciale per la sicurezza, che invece ha voluto scartare l' ipotesi del sequestro immediato delle bottiglie, che pure era stata ventilata: avrebbe significato dichiarare fuorilegge tutti quelli che, invitati a casa di amici che abitano in centro, decidono di portare in dono uno champagne, ma era un prezzo ch’ero pronto a pagare per non dovermi guardare le spalle ad ogni angolo. Parla da laico di medicina il presidente di Confcommercio Cesare Pambianchi quando dice che «È una strada che sacrifica solo chi non è causa del fenomeno. È una privazione di libertà. Capisco l' emergenza, ma così rischiamo di diventare la città dei divieti». Lui guarda solo al vile metallo, non pensa al bene del suo gregge. Vabbè, mi fermo. Solo una cosa mi consola: che se neanche Rex Banner è riuscito a vincere sullo stop all’alcol (a Barney: «senti spugna, te lo dirò in modo chiaro e semplice: dove hai sgraffignato lo spirito? Qualche bettola occulta sta spillando birra aum aum?» ) non sarà di certo un’equipe guidata da un Pecoraro a toglierci questo piacere! (Banner [prendendo Flanders per la maglia]: -Sei tu il Barone Birra?- Ned [sorride imbarazzato]: -Ahah…se intende lo sciroppo al luppolo, mi ritengo colpevole, colpevolino, colpevoletto, vostro onore!- Banner: -Non è il Barone Birra [sussurrando rivolto agli agenti] però sembra brillo… dentro!- ).
18 gennaio 2009
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