15 ottobre 2008

La magia trappista


In quel piccolo paradiso che è il Belgio, in sei abbazie, quasi tra la storia e leggenda, si producono le inestimabili birre trappiste, più un'opera d'arte che una semplice birra. Si utilizza spesso il termine trappista in modo inappropriato e vale la pena fare chiarezza perche' il significato è ben preciso e le birre che se ne fregiano hanno una storia ed un prestigio che non si puo' trascurare.
Storicamente l'Ordine dei Cistercensi della Stretta Osservanza nasce in Normandia nel 1664, nel monastero di Notre Dame de La Trappe, da cui il nome con cui i frati dell'ordine sono comunemente chiamati. Sin dall'origine i trappisti dedicano, per regola monastica, la maggior parte della loro giornata, oltre che ovviamente alla preghiera, a produzioni artigianali, come formaggi, cioccolata, vino e lavorazioni di erbe aromatiche di un livello qualitativo unico ma tra di esse ne spicca sicuramente una: la birra. La regola è tanto semplice quanto ferrea: per potersi chiamare trappista una birra deve seguire tre parametri: primo essere prodotta dentro le mura di un'abbazia dell'ordine, secondo da parte dei monaci e sotto il loro diretto controllo ed infine i guadagni devono essere diretti al sostegno della comunità monastica o a fini di assistenza sociale e beneficenza e non al profitto finanziario. Sono dunque escluse ad esempio le birre prodotte dentro le abbazie sì, ma da laici, o quelle prodotte su licenza fuori dai monasteri. Sono solamente sette le birre che rispondono a questi requisiti e che possono dunque fregiarsi del preziosissimo marchio "Autenthic Trappist Product": Chimay, Orval, Westvleteren, Westmalle, Rochefort, Achel e La Trappe. Queste sette antichissime e meravigliose abbazie, quasi tutte in Belgio tranne l'ultima che si trova in Olanda, sono le uniche di più di 170 sparse per il mondo appartenenti all'ordine trappista, che possono etichettare i loro prodotti con il celeberrimo marchio esagonale, che ha valore legale e serve a dare precise garanzie al consumatore sulla provenienza del prodotto e sulla sua fabbricazione. Riguardo al rigore con cui viene concesso il logo è accaduto ad esempio che al monastero olandese di De Koningshoeven che produce La Trappe , fosse revocata l'autorizzazione all'utilizzo del marchio dal 1999 all'ottobre 2005, a causa di un accordo commerciale con un grande gruppo industriale, violando tale condotta la regola della destinazione dei proventi della vendita delle birre ai soli fini del sostentamento dei monaci. La denominazione Authentic trappist product designa assolutamente solo un prodotto fabbricato nei monasteri cistercensi sotto la responsabilità dei monaci e senza alcun fine di lucro. Giusto poche settimane fa, si è svolta una storica votazione interna tra i monaci delle sette abbazie, che dovevano decidere se aumentare o meno la produzione, sotto le pressanti richieste del mercato internazionale. La coerenza di questa "democrazia in tonaca" e l'unanime risposta di chi ha dedicato la propria vita al motto ora et labora è stata no. Assolutamente no. E pazienza per i guadagni, pur ingenti. La regola parla chiaro e dice che non è certo per profitto che si lavora dentro le abbazie, ma è per i poveri e per chi ne ha bisogno, oltre che per i frati stessi; e l'antica strada non può essere abbandonata così facilmente, sedotti dal bagliore di quel futuro di ricchezza che il mercato della vasta produzione è pronto a promettere, in cambio di più bottiglie dei Trappisti. Ma è da sempre che si produce tanta birra, quanta ne serve affinchè attraverso la sua vendita possano essere soddisfatti i bisogni primari di chi vive nel monastero e di coloro che ad esso si appoggiano per mancanza di mezzi: né più né meno. Ora dunque quelle poche birre sembrano diventare ancor più preziose per questa prova suprema che i frati hanno voluto dare della passione incorruttibile con cui le producono. Rispettando la regola aurea per cui queste ricette lasciate in eredità da un abate all'altro, rimangono gelosamente sigillate all'interno delle mura medievali dei monasteri, quasi avvolte da un'aura magica che rende queste potiones del tutto speciali rispetto alle altre.




















1 ottobre 2008

A cena con Teo Musso

Due sere fa ho avuto il piacere di cenare con il geniale mastrobirraio di Baladìn, Teo Musso, che passando nell'Urbe per lavoro, ha organizzato una degustazione nell'enoteca d'un amico. Inutile dire del livello qualitativo della bevuta, anche e soprattutto perchè i piatti cucinati per abbinarsi ad hoc con ogni sua birra, sono riusciti se possibile ad esaltare ancor di più le già immense potenzialità delle Baladìn. E' qualche anno ormai che godiamo dei nettari di Teo, ma sentire personalmente quali minuziose e quasi maniacali ricerche ci sono dietro ogni singola cotta, quanta passione per riuscire a dare forma in un bicchiere ad una sensazione magari impercettibile di un profumo (provate la Nora per credere), ad un perfetto abbinamento di ingredienti che riescano a evocare nella mente di chi si accosta alle Baladìn, le stesse idee di gusto immaginate da Teo. Questo è quello che ci ha detto. Escludendo i tecnicismi d'una produzione brassicola di livello ormai internazionale, l'essenza delle sue parole stava semplicemente in questo, nel voler riuscire a trasmettere attraverso le sue creazioni birrarie, sensazioni realmente vissute e tutta la passione per questo lavoro. Ed è fantastico che infatti a fine cena, da custode fiero ma geloso, è stato proprio lui a voler personalmente servire bicchiere per bicchiere, quella straordinaria creazione nata da sperimentazioni sull'ossidazione che è la Xyauyù. Lui la definisce una birra da meditazione, da divano: 13,5 gradi, nessuna schiuma né alcuna percepibile frizzantezza, il colore è quello dell’ambra scura. Ci si deve concentrare un secondo per ricordarsi che si tratta di una birra, perchè la sensazione è quella unica di un passito o di un Sauternes, a cui lo stesso Teo ha detto di essersi ispirato. I toni dolci non sono minimamente stucchevoli e la persistenza in bocca lunghissima. Ricorda un cognac, un madera e non può essere così facilmente considerato un barley wine, perchè qui l'intensità olfattiva e gustativa e la forte impronta alcolica viene tutta dall'azione ossidante dell'ossigeno e dall'invecchiamento. Solo 4000 bottiglie l’anno di cui 1000 reperibili in Italia e una lavorazione di più di 22 mesi..Fate voi..