1 dicembre 2009

Adeste Fideles

Stile Magi, in molti stanno per partire da lontano.
Non faranno doni. Li riceveranno.
Birre sotto l'albero 2009. Per chi è stato buono l'11/12/13 dicembre arriveranno dall'estero: Bashah (Brewdog/Stone), Père Noel (De Ranke), Hibernation Ale (Great Divide), Jule IPA (Beer Here), Santa’s Little Helper (Mikkeller), Stille Nacht (De Dolle), Avec Les Bons Voeux (Dupont), Cuvèe Meilleurs Voeux (Rulles), Winterkoninkske (Kerkom), Equinox (De La Senne), Santa’s Butt Winter Porter (Ridgeway).


La lista patriottica include: 25dodici (Birra del Borgo), Stella di Natale (Troll), X-Trem (BI-DU), De Rinaldi (Karma), Birra di Natale (Orso Verde), Brighella (Lambrate), Noel (Baladin), St. Amé (Scarampola), Birra di Natale (Civale), San Niccolò (Amiata), Christmas Duck (Olmaia), Christmas Cru (Almond ‘22), Kukumerla (Grado Plato), Winterlude (Ducato).


Per geek e predatori del tempo: Paradox Caol Ila 2007 (Brewdog), Struise Pannepot 2007 (Struise), Ola Dubh 30 (Harviestoun), Affumicator (Beck Brau), Mummia vintage (Montegioco), Sparrow Pit (Birrificio Italiano/Thornbridge Brewery), Cnudde Bruin (Brouwerij Cnudde).


Oltre a quest'ira di dio avremo i soliti fantastici laboratori di degustazione tenuti da Mastro Kuaska:
- Venerdì 11 (ore 18.00) al Macche: Oerbier Reserva 2009 (De Dolle), Fred From The Wood (Hair of the Dog), Angel’s Share (Lost Abbey), Beer Geek Brunch Wheasel Islay ed. (Mikkeller), Tsjesees Reserva (Struise). 30 mauri cadauno.
- Sabato 12 (ore 18.00) al Bir&Fud: 25dodici (Birra del Borgo), Christmas Cru (Almond ‘22), Birra di Natale (Orso Verde), X-Trem (BI-DU), San Niccolò (Amiata), Kukumerla (Grado Plato). Saranno presenti i relativi birrai, 20 euro a capoccia.
- Domenica 13 (ore 17.30) al Bir&Fud: De Rinaldi (Karma), Christmas Duck (Olmaia), St. Amé (Scarampola), Mummia (Montegioco) e Birra di Natale (Civale). Birrai presenti, un ventone pro capite.


E' già certo, ma in via di definizione, un pranzone domenicale con birrai e annessa degustazione. Maggiori info a breve.
Tutti i laboratori, le cene ed il pranzo della domenica devono essere prenotati al Bir&Fud chiamando dopo le 17.30 al 06/5894016.
Babbo Natale è arrivato.
Panza mia fatti capanna..

7 novembre 2009

Diogene,la gloria e Montegioco

Mi immagino Riccardino come il filosofo di Sinope: che invecchia in una botte, magari con un cestino di frutta. E' uno di poche parole, ma le sue birre hanno così tanto da raccontare. E' il Diogene dei birrai: niente esibizionismo, bando a fronzoli e convenzioni. L'umiltà è un bene da pesare a carati ormai e lui ne ha da vendere. Prima che la febbre del legno contagiasse le masse, da "Monzeugh" qualcuno era già salito a Monleale a chiedere a un amico qualche botte. Prima che in Italia la barrique diventasse "tres chic" qualcuno già meditava di rubarne qualcuna (traduzione libera..). Così, tra sedie e bende quel qualcuno diventava un precursore e un fuoriclasse.
Ieri sera, con Riccardino e altri amici, Bran Barrique Cuvee: nero intenso e gran cappello di schiuma beige. Promette e mantiene i profumi dei migliori invecchiamenti, legnosi, tostati, di frutta rossa, quelli cazzuti che ti stendono, ma con classe. Ed è un KO che si accetta a braccia aperte.

4 novembre 2009

Pursuit of hoppiness

Si sa. Quando un trend è lanciato non si può fermare. Bisogna solo aspettare che cali l'interesse. Tutto qui. E l'ultimo è quello di far schizzare gli IBU alle stelle. Sperimentare fin dove può arrivare l'amaro prima che muoia l'aroma. E' una sfida senza senso sì, ma remunerativa. Le mode agiscono subdolamente a livello inconscio e ti fanno sentire diverso, se non t'inchini. Questione di psicologia spicciola, ma il buon Freud non beveva Mikkeller. Hop juice, 2007 IBU (International Bitterness Unit) dichiarati, poco più di un esperimento casalingo. Nanny State di Brewdog: 1,1% e 225 unità d'amaro, più o meno una tisana punk. Ma offri agli esaltati un'occasione di ammazzarsi in fila per provarla in anteprima ed avrai fatto bingo. Tira fuori una Moinette in offerta a 4 euro e le casse ti resteranno piene. Sono fessi e spendaccioni i bevitori della nouvelle vague. Un mix erotico per un imprenditore sveglio. Tutto ciò che è estremo tira, la semplicità da sola non vende. Questa non è una birra per vecchi..

1 novembre 2009

AutumnAles (latino eh..)

L'autunno è una stagione così particolare. Da un lato si ripensa alle vacanze ormai lontane e si guardano, ancor più lontane, le prossime occasioni di svago a Natale. Dall'altro con i suoi colori, profumi e sapori è una stagione che sa regalare grandi soddisfazioni, in campo enogastronomico. E la regina è lei, la castagna. Un tempo era definito il "pane dei poveri" per via delle sue notevoli proprietà nutritive, oggi è un frutto costoso e ricercato che si presta a ogni possibile utilizzo in cucina. E l'estro dei nostri birrai non poteva certamente farsi sfuggire l'occasione di creare uno stile del tutto nuovo, del tutto italiano. Quelle alle castagne sono birre che o si odiano o sia amano. Il sapore è particolare, l'impronta aromatica troppo caratteristica per suscitare interesse in chi non ama già questo frutto. In queste prime giornate di freddo, in attesa dell'inverno, vale veramente la pena di provare qualche birre alle castagne in una delle numerosissime varianti in cui vengono prodotte (tra le varie ricordo la Strada San Felice di Grado Plato, Bastarda doppia di Birra Amiata, Palanfrina di Troll, Balù di Almond 22, Nivura di Scarampola, CastagnAle del Borgo, Monfenera di Barchessa di Villa Pola, Birolla del Birrificio di Como, Bastarnà di montegioco, Petrognola alle castagne e una delle varie Beltaine).

31 ottobre 2009

The big match

13 maggio 2009

Pils and love

Ce ne stiamo andando dal BiDu.
Venti minuti di sano buio in macchina e poi benvenuti nel paradiso dell’amaro. Benvenuti al Pils Pride: 12 spine tutte nostrane di sana, ottima Pils. E chi poteva ideare un evento così se non il geniale birraio che più di chiunque altro in Italia e oltre il confine, ha ridato lustro e fama a questo stile.. Proprio quell’Agostino Arioli che da tredici anni rinfresca i palati con la sua Tipopils e da qualcuno in meno con l’Extrahop..Per questo sabato e domenica al Birrificio Italiano su due banchi divisi ci sono: Levante di Statale 9, la nuova Pils del Lambrate, Pola pils di Barchessa di Villa Pola, Extrahop del Birrificio Italiano, 704 del Birrificio Lodigiano, Viaemilia del Ducato e dall’altra parte la Chiara di Cittavecchia, Oak Pils del Doppio malto, Sveva di Grado Plato, Sausa Pils del Vecchio birraio, 30ils del BiDu e ovviamente la padrona di casa, la Tipopils. Noi siamo qui sia la sera che la domenica a pranzo. Il sabato il birrificio scoppia di gente. E’ una bellezza. Ogni tanto scende anche una leggerissima pioggerella, ma con le pils ci sta bene, così mi rinfresco dentro e fuori. C’è quell’atmosfera briosa che al mondo solo un buon vino o una buona birra possono regalare. Da memorandum le parole di Agostino il giorno dopo: «Tanta gente ha bevuto 1000 litri di Pils per la pura gioia di stare insieme e di parlare di birra, semplicemente, in allegria, senza pontificare, stroncare o divinizzare». Penso che la bellezza della birra stia tutta qui, in queste parole. L’organizzazione è a puntino, la spillatura perfetta, il bicchiere sempre pieno e il menù molto invitante..Nei due giorni proverò a non attaccarmi solo alla Tipo, ma questo prevede che le altre le possano tener testa. E non è mai facile, anzi. Partiamo con una 704, una Sausa e una Levante e ancora non ci siamo..Comincio a guardare ingolosito l'ammiraglia della casa (al Macche m’hanno abituato troppo bene)..Ma ecco una degna avversaria: la Pola Pils. Rispetto alle altre ha più carattere, secca e profumata, scende benissimo. Questa vale veramente. Ma non posso fare a meno di pensare a quel profumo di lievito fresco della Tipopils..Vabbè me ne prendo una così, per tradizione, poi magari giusto un’altra..I formaggi a cena e soprattutto il kebab a pranzo erano da applausi e il pane usciva caldo a rotella, a conferma dell’ottima organizzazione. Anche la Pils del Lambrate è veramente buona, ma la classe non è acqua (la sera prima a Milano avevo bevuto una Montestella e una Ligèra da standing ovation). E’ la Viaemilia che stavolta ha qualcosa.. In bottiglia l’ho trovata spesso alla grande, ma stavolta proprio non è lei. Proviamo anche l’altra padrona di casa, un’Extrahop sempre buona, ma con un luppolo che mena sicuramente meno di altre volte e poi la 30ils di Beppe e la Sveva di Sergio Ormea. Purtroppo dopo pranzo dobbiamo riprendere le vie per l’Urbe, lasciando la pace di questi posti, l’atmosfera allegra del birrificio, l’ottima compagnia e tutte queste Pils. Prima di venire qualcuno mi chiedeva -ti fai sul serio 1000 km in due giorni per qualche bicchiere di birra..?- No amico, -1300 km in 1 giorno e mezzo per passione-. Ed è tutt’altra cosa..

11 maggio 2009

Stranabirra al BiDu

Un fine settimana grandioso. Se ogni sabato e domenica iniziasse e finisse così, il Malox e il Legalon sarebbero al primo posto fisso nel paniere, ma si vivrebbe tutti più felici.
Dopo un salto all’ Hop il sabato sera, simulando un buono stato di salute, verso mezzogiorno ero in macchina con Michi verso Bizzarone: obiettivo Stranabirra. Vortici di polline tagliano la strada come i covoni d’erba mobile nei Simpson. Proseguo veloce per le curve sul lago di Como con un tempo così e così. Poi all'improvviso la dogana..E la fila..La sete m’annebbia la mente: me la prendo col Tom Tom, con le sigarette che avevo sotto mano e con i fusti che avremmo trovato prosciugati. Ma è tutto fumo: una Camel mi tranquillizza all’istante. All’una e un quarto eravamo al nuovo locale di Beppe: Le birre del Bi-Du. Bello veramente, grande, caldo, accogliente e affollatissimo. Ci accoglie un Kuaska in grande forma, appena uscito con gli altri della giuria, Schigi, Giacu, Fabio Cornelli, Riccardino di Montegioco e Dano del Troll, dalla degustazione della ventina di stranebirre in concorso. Un’occhiata veloce alle spine e poi giù a riempire i bicchieri; c’è solo l’imbarazzo della scelta. L’intenzione sarebbe quella di contenersi, per arrivare la sera al Pils Pride ancora verticale..L’intenzione..La Rodersch è uno spettacolo, già so che me ne berrò i litri, poi ArtigianAle e Buena Suerte: ma queste birre sono pericolose..Ammiccano, ammiccano e poi menano. Provo la Saltinmalto và, chiara a 4,5% con aggiunta di sale nero delle Hawaii..Incredibile: naso pulito (da gose, nota Tyrser), molto interessante, in bocca la sapidità è netta, ma non fastidiosa..’Sto Beppe..E’ ora della seconda ArtigianAle, della Fumè du Sanglier di Cinghio, la Truffa della Buttiga (al tartufo) e la Febbre Alta di Troll. Simone da dietro le spine mi fa assaggiare un paio di birre homebrewed: una non è male per niente, l’altra mi costringe a correre ai ripari con una Rodersch. Dopo pranzo il Gran Giurì al completo con l’aggiunta di Laurent Mousson e con Kuaska come banditore ufficiale, si riunisce per annunciare i risultati d’un concorso che faceva della pazzia l’ingrediente principale: il rischio era che a birre più bevibili potessero essere affiancate anche delle potenziali bombe batteriologiche. La folla evidentemente trepidante smorza la tensione alle spine, ma la vera sorpresa è sapere che al concorso hanno partecipato anche tre birrai già più che affermati, Beppe Vento stesso, Lorenzo Bottoni e Marco Meneghin. La premessa di Kuaska è chiara e semplice: le birre dovevano essere strane, quindi se qualcuno avesse creato la migliore pale ale canonica del mondo, sarebbe arrivato ultimo al 100%. Ha vinto Omar Lombardo con una birra aromatizzata al tabacco Kentucky. Qui trovate tutti i risultati. Si fanno velocemente le sei, in uno splendido pomeriggio passato a bere in compagnia e in cui abbiamo potuto conoscere tanti altri dei volti che animano questa grande realtà scoppiettante. Lurago è vicino e le Pils chiamano a gran voce: quasi tutti ci fanno un salto. Quindi un’ultima Rodersch, piccola spesa per rimpiangere meglio questo fantastico posto da Roma e poi via al Birrificio Italiano..L’intenzione era solo di andarci o anche di arrivarci in piedi..? Non ricordo più..

6 maggio 2009

La stagione degli aromi

Ahh, maggio..Sta arrivando l’estate..Il caldo..Il mare..Sì sì. Ed è proprio questo che mi preoccupa. Io voglio il freddo, la montagna. Tenetevi l’ora legale, la pioggia di polline, la tintarella e i bermuda. Ma questo maggio si prospetta fantastico per gli appassionati di birra. Sabato sarò a Bizzarone per Stranabirra, il concorso “a stile libero” per homebrewer organizzato da Beppe Vento del Bi-Du. Non c’è nessun limite e nessuna regola: si può usare «qualunque ingrediente, qualunque spezia, qualunque materia prima, qualunque luppolo o gruit, qualunque fermentazione, qualunque lievito, batterio, fungo o altro essere...e tanta, tanta fantasia! Diciamo come unica regola... acqua ed almeno un malto!». Io non ho mai fatto homebrewing, ma sono appassionatissimo di “drybrewing” e date le spine presenti (Rodersch, ArtigianAle, Buena Suerte e Leyline del Bi-Du e ospiti Febbre Alta del Troll, Quarta Runa di Montegioco, Saltinmalto del Bi-Du, Truffa della Buttiga e chicca finale la Surfing hop del birrificio Toccalmatto a pompa direttamente dal cask inglese con dry hopping di Amarillo direttamente dentro il cask) proprio male non mi troverò..! La straordinaria giuria (Kuaska, Schigi, Dano del Troll, Riccardino di Montegioco, Fabio Cornelli e Giacu) dovrà valutare le birre secondo le fantasiose categorie stabilite da Beppe: non potabile, grama, potabile, buna, piutost e Q+ (cupiu). Vediamo che ne esce.. Sabato sera e domenica a pranzo trasferimento al vicino Birrificio Italiano per il Pils Pride, la fantastica manifestazione ideata da Agostino Arioli per celebrare «lo stile birrario più famoso al mondo e oggi purtroppo anche il più dimenticato». Da grandissimo amante degli stili più strettamente tradizionali, senza “tanti fronzoli”, non posso che essere felice d’un evento di questo tipo, convinto più che mai che la grandezza d’un birraio si misura su una pils, su una tripel standard, su una canonica porter e non su qualche pur buona sperimentazione o creazione lasciata invecchiare da qualche parte. Senza generalizzare, ma “il tempo guarisce tutti i mali”..Questi i birrifici presenti: Bi-Du, Cittavecchia, Statale Nove, Ducato, Lambrate, Birrificio Italiano, Vecchio Birraio, Villa Pola, Grado Plato, Doppio Malto. Senza tregua, lunedì sera, appena tornato a casa, il solito impagabile Bir&Fud ci regala una serata a dir poco spettacolare con Garrett Oliver, mastro birraio dell’americana Brooklyn Brewery. La serata consiste in un incontro tra Oliver e otto grandi birrai italiani, ognuno dei quali dovrà portare una sua creazione speciale, invecchiata o rara che sia, da degustare insieme. I nomi dei birrifici e delle birre presenti sono eccezionali, ci saranno: Brooklyn Lager e Local 1 (Brooklyn Brewery), Fredrick (Almond ‘22), Xfume (Baladin), BB10 (Barley), Sedicigradi (Birra del Borgo), Magia (Maiella), Mummia (Montegioco), Triplipa (Opperbacco), Shangri La (Troll). Come a dire panza mia.. A fine maggio invece Leonardo di Vincenzo festeggerà il quarto compleanno del suo Birra del Borgo, ormai giustamente uno dei più affermati birrifici italiani, con una grande festa a Borgorose. Ma per questo ci risentiremo tra qualche tempo..Bi-du sto arrivando..

26 aprile 2009

Una specialità tradizionale garantita: il Lambic

STG è un’altra sigla con la quale gli amanti dei prodotti di qualità hanno dovuto familiarizzare. Significa Specialità tradizionale garantita e diversamente da altri marchi quali DOP e IGP, si riferisce a prodotti agricoli e alimentari che siano ottenuti attraverso l’utilizzo di materie prime o con un metodo di produzione o con una composizione che siano tipici d’una tradizione locale. L’Europa ha quindi guardato al passato, al sapere popolare su cui poggiano le antiche tradizioni gastronomiche del «mondo rurale», ai prodotti che hanno alle spalle secoli di usanze contadine e ha voluto offrire un’opportuna protezione giuridica al legame della comunità col proprio territorio e alle produzioni artigianali più tipiche. Fatemi fare un attimo l’azzeccagarbugli. La certificazione viene introdotta da un regolamento europeo del 2006 che subito evidenzia la centralità del richiamo alla valorizzazione della tipicità del prodotto, restringendo quindi il campo d’applicazione della normativa e definendone l’ambito. Si legge che per “specificità” s’intende «l’elemento o l’insieme di elementi che distinguono nettamente un prodotto agricolo o alimentare da altri prodotti o alimenti analoghi appartenenti alla stessa categoria», mentre per “tradizionale” «un uso sul mercato comunitario attestato da un periodo di tempo che denoti un passaggio generazionale; questo periodo di tempo dovrebbe essere quello generalmente attribuito ad una generazione umana, cioè almeno 25 anni». Per beneficiare della denominazione Specialità Tradizionale Garantita, il prodotto deve essere conforme ad un disciplinare che, a garanzia del rispetto delle particolarità che lo caratterizzano, la legge auspica possa essere definito dai produttori stessi. Vi devono essere indicati almeno il nome specifico del prodotto e una sua descrizione, il metodo di produzione tradizionale e se opportuno, la natura e le caratteristiche della materie prime o degli ingredienti utilizzati, gli elementi da cui deriva la specialità del prodotto, quelli che ne attestano la tradizionalità e infine i requisiti minimi e le procedure di controllo della specificità. Ora, alla fine del 208, con un nuovo regolamento della Commissione europea, il Belgio ha visto riconosciuto il prestigioso marchio a ben cinque dei suoi prodotti più tradizionali, ovvero il lambic e tutti i suoi derivati. Insieme ad altri prodotti, finalmente viene tutelata dall'Europa una delle più preziose eredità storiche di questo paese attraverso una certificazione della qualità, del metodo di produzione e della provenienza, fissati in un disciplinare elaborato dagli stessi produttori di lambic. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per la birra..

12 aprile 2009

Lambic: visita alla Brasserie Cantillon

La settimana scorsa il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo molto interessante sul Lambic, Sulle tracce d'un'antica birra belga, dopo una visita a Bruxelles al più raffinato produttore di questa preziosa bevanda: la Brasserie Cantillon. La particolarità che rende unica questa birra è che mentre tutte le altre sono fatte fermentare attraverso l'utilizzo di ceppi di lievito accuratamente selezionati tra le due tipologie classiche, ad alta fermentazione (Saccharomyces cerevisiae) e a bassa fermentazione (Saccharomyces carlsbergensis), il Lambic (qui un fantastico articolo di Kuaska e un altro del grande Michael Jackson) è prodotto attraverso la fermentazione spontanea. Il mosto di birra viene infatti esposto all'azione dei lieviti selvaggi e dei batteri autoctoni presenti nell'aria della valle del fiume Zenne, nella zona del Pajottenland, a sudovest di Bruxelles. E' una birra indissolubilmente legata a questi luoghi, in cui da secoli il lambic è per eccellenza la bevanda popolare, in tutte le sue straordinarie varianti: il lambic puro è infatti "piatto", ma spesso vengono assemblati due o più lambic di diverse annate dando origine alla spumeggiante Gueuze, oppure si aggiunge frutta, come nella tradizionale Kriek, rifermentata con ciliegie griotte, oppure la Framboise con lamponi freschi, o infine come il Faro addolcito con zucchero candito. Per la fase del raffreddamento il mosto bollente, invece che riversato e protetto nei fermentatori come per tutte le altre birre, viene pompato e lasciato l'intera notte in vasche estremamente ampie, profonde solo circa 30 cm, ma soprattutto aperte, in maniera tale che tutta la superficie del mosto possa entrare in contatto con i lieviti selvaggi e la microflora presenti nell'aria. Diciamo che è qui, di notte, che del tutto naturalmente avviene la magia.. L'antichissimo processo produttivo e la lunga fermentazione spontanea, oltre alla lenta maturazione in botti di legno usate per Porto, Sherry, Madeira e Cognac, conferiscono al lambic tradizionale un'intensità e una ricchezza aromatica ineguagliabile, con un sapore sempre molto complesso e intensamente aspro, acido. Pensare che oggi sono solamente più o meno dieci i birrai che producono o assemblano lambic, crea giustificate e serie preoccupazioni sul futuro d'una bevanda che ha segnato la tradizione e la storia d'un'intera nazione.

8 aprile 2009

Italian beer festival a Roma

Il 17-18-19 aprile, alle Officine Farneto in Via dei Monti della Farnesina 77, si svolgerà l'Italian Beer Festival, organizzato dall'Associazione degustatori di birra anche in collaborazione con i Domozimurghi Romani. Lascio qualche informazione utile:

Orari
Venerdì 17 dalle 17.00 alle 02.00
Sabato 18 dalle 12.00 alle 02.00
Domenica 19 dalle 12.00 alle 24.00

Laboratori
Qui trovate tutte le info per partecipare
Ristorazione
A cura del Bir & Fud

Parteciperanno
Baladin
Bi-du
Birra Amiata
Birra del Borgo
Birrificio Atlas Coelestis
Birrificio Baüscia
Birrificio BOA
Birrificio Orso Verde
Birrificio del Ducato
Birrificio Maiella
Birrificio San Gabriel
Stazione birra
De Molen
Great Divide
Hoppin Frog
Hütt Brauerei
Jolly Pumpkin
Kerkom
Lost Abbey
Mikkeller
Nogne-O
Port Brewing
Rulles
Ruppaner
Sierra Nevada
Southern Tier
3 Fonteinen

Spero veniate numerosi e soprattutto assetati!

31 marzo 2009

Un sabato al Lambrate

Ero a Milano per soli due giorni, ovviamente ha diluviato tutto il fine settimana e così sabato sera, convinti un pò di amici, ci siamo rifugiati al Lambrate. Nascosto in una piccola via accanto all'omonima stazione, il primo microbirrificio di Milano ha aperto i battenti nel lontano 1996 con una produzione di 150 litri al giorno che oggi sono diventati 2000 per ogni cotta e dalle tre storiche birre iniziali oggi si è passati a 13. In questi anni l’idea di Davide e Giampaolo Sangiorgi e Fabio Brocca di aprire un brewpub che servisse la loro birra, è stata premiata con continui successi e riconoscimenti, oltre che un’affluenza continua ed enorme, tanto che oggi il Lambrate è considerato tra i migliori microbirrifici in Italia e alla fine del 2008, dopo un ingrandimento dell’impianto di produzione, si è unito alla causa anche il grande Maurizio Cancelli.
Dentro non cadeva uno spillo, anche perché giocava la nazionale, la fila era enorme e Giampaolo, dietro al bancone, spillando birre a velocità da guinness, riusciva anche a rispondere a tutti: un fuoriclasse. Solo a vedere la schiuma della Montestella la sete era a mille e noi dovevamo, o meglio avremmo voluto, anche mangiare qualcosa. Dalla bolgia si sarebbe detto –Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate-, ma la mia ragazza, molto più convincente di me (ovvio), anche facendo presente che avevamo fatto 500 Km per provare le loro birre, si guadagna strenuamente un tavolone. A questo punto prosit. Infornata generale di Montestella (prima classificata al premio Birra dell’anno 2008 nella categoria birre ad alta fermentazione con meno di 12 plato), una kölsch che all’aspetto ha veramente pochissimi rivali, ma io non resisto al richiamo anglosassone e mi butto sulla nuova Ortiga, una splendida golden ale dall’intenso profumo di luppolo, erbacea al naso e amara in bocca, leggermente agrumata: grande birra. Con la carne non ho dubbi e le rauchbier sono tra le mie preferite. La Ghisa si presenta alla grande, scurissima con una schiuma compatta, abbondante e color cappuccino. Al naso rivela la sua forza e si sentono l’affumicato e gli aromi tostati, ma va giù benissimo, con grande equilibrio, con un’affumicatura che in bocca si sente anche meno di quello che credevo. Last but not least, una Porpora di chiusura (prima classificata al premio Birra dell’anno 2008 nella categoria birre a bassa fermentazione con più di 14 plato) e qui chapeau. Dal colore si capisce il nome e si presenta con un fantastico cappello di schiuma, ma è al naso che mi ha sorpreso, con un intenso fruttato, quasi agrumato e un erbaceo distinto che non mi aspettavo. In bocca il dolce del caramello si sente ma è perfettamente equilibrato da un luppolo non invadente: questa Porpora è una birra fantastica. Alla fine mi avvicino a Giampaolo per chiedere qualche bottiglia ma ahimè, con l’impianto sotto lavori, nada. Capisce subito di dove sono e allora aggiunge –Sai dove trovi le spine del Lambrate però?-, e io sorpreso penso a chi le potrebbe avere, -Da Manuele!- dice ridendo. Il Colonna è vero, il passepartout romano per ogni buona bevuta.
Mi è piaciuto proprio questo Lambrate, devo organizzare presto un altro raid meneghino.


17 marzo 2009

San Patrizio: storia e stout

Il 17 marzo non è un giorno qualunque nel mondo della birra: è il giorno di San Patrizio, patrono delle verdi terre d'Irlanda. Nato da una nobile famiglia romana in Scozia (a Kilpatrick) nel 387, con il nome di Maewyin Succat, s'imporrà più tardi il nome latino di Patrizio. Rapito quando aveva sedici anni da pirati irlandesi, fu venduto come schiavo al re del North Dàl Riada, nell'odierna Irlanda del Nord. Per sei anni lavorò come pastore nella contea Antrim, dove apprese la lingua gaelica e le pratiche dei druidi. Un giorno dopo 6 anni di cattività e due tentativi falliti, ribellandosi al proprio padrone, Patrizio riuscì a scappare e percorrendo a piedi 184 miglia, si imbarcò clandestinamente su di una nave diretta in Inghilterra. E come suo padre e suo nonno prima di lui, si avvicinò alla Chiesa e così, recatosi in Francia, fu consacrato Vescovo da Germano d'Auxerre. Nel 432 Papa Celestino I gli affidò la missione d' estirpare dall'Irlanda il paganesimo e convertire l'intera nazione alla cultura cattolica. Fu spesso minacciato di morte, catturato e condannato, ma riuscì comunque a portare avanti la sua missione con sorprendente successo. Il santo percorse l'intera Irlanda, predicando e insegnando nella lingua locale, fondando abbazie e monasteri, soccorrendo i bisognosi e operando miracoli: nacque così la corrente separata del Cristianesimo celtico. Infatti, per conservare le radici e le tradizioni storiche del popolo irlandese, nonché per un suo attaccamento alla religione celtica, Patrizio favorì la combinazione di molti elementi cristiani e pagani. Per esempio introdusse il simbolo del sole sulla croce latina, facendo diventare la croce celtica simbolo del Cristianesimo di quelle zone. La sua storia è legata anche al simbolo dell'isola, il verde shamrock of Ireland: grazie ad un trifoglio infatti, si racconta che San Patrizio abbia spiegato ai pagani irlandesi il concetto cristiano della trinità, sfogliando le tre piccole foglie unite in un unico stelo. Sulla data e il luogo sua morte non si hanno certezze storiche, ma avvenne circa nel 461. Il suo corpo, conteso da varie città, fu affidato a una coppia di buoi che, senza guida, lo depose a Down nell'Irlanda del Nord, che da allora cambiò il nome in Downpatrick e dove un'immensa statua del Santo veglia sulla sua Irlanda. In tutto il mondo il giorno di San Patrizio diventa un'occasione per allegre bevute delle grandi scure irlandesi e quindi oggi parliamo di Stout, per precisione delle dry stout irlandesi (in gaelico leann dubh). Nere e impenetrabili, dal gusto secco e asciutto, con bassa carbonazione, hanno una schiuma cremosa e molto persistente. Le classiche forti note di caffè e liquirizia sono dovute all'ultilizzo di orzo e malti tostati, a cui si deve anche il colore scuro e anche l'amaro spiccato, più che al luppolo, si deve all'uso dei grani torrefatti. Molto caratteristica dello stile è una certa cremosità e morbidezza al palato. Inutile dire che è la St. James's Gate Brewery fondata nel 1759 da Arthur Guinness a Dublino, la più nota e importante fabbrica di stout al mondo. La Guinness non conosce crisi, basti pensare all'impressionante crescita del 7% delle vendite registrate nella sola seconda metà del 2008. Quest'anno peraltro si celebrano i due secoli e mezzo di vita della Guinness che festeggerà San Patrizio e l'anniversario con la vendita solo oggi, è stato calcolato, di circa 13 milioni di pinte della sua celeberrima stout. Un paio di queste sono le vostre?

2 marzo 2009

Birre e uva

Cinque secoli fa Martin Lutero già affermava che «Vinum est donatio dei, cervetia traditio umana». Siamo proprio alla base della millenaria tradizione gastronomica europea, due prodotti che per secoli e secoli hanno segnato e continueranno a segnare la storia della produzione artigianale di questo continente e di questa Italia. Questa non è questione di buon bere ma è cultura, la più vera, perché radicata nel sapere popolare e nella tradizione agricola, tramandata e spero, mai dimenticata. Chissà se sarebbe stato possibile immaginare che l’incredibile fantasia dei birrai un giorno, sarebbe quasi arrivata a far convivere il vino e la birra. Anche chi è spinto dalla passione per quest’ultima, non può, non qui in Italia, prescindere dalla tradizione unica e millenaria che ci lega indissolubilmente al primo. E così l’estro dei nostri birrai, il radicamento al proprio territorio, la tradizione enologica regionale hanno fatto il resto e sono nate alcune birre uniche in cui è utilizzata anche l’uva. Nicola Perra, in Sardegna, per la sua BB10 ha utilizzato le più famose uve della sua isola, quelle Cannonau; per precisione ha utilizzato un prodotto tipico con una storia millenaria ovvero la sapa di Cannonau. Nota già ai Romani la sapa altro non è altro che mosto d'uva non fermentato e cotto lentamente per ore, fino a ridurre di un terzo il volume iniziale. Il mosto cotto che ne deriva è quindi estremamente zuccherino e da sempre utilizzato sia da solo come bevanda (il celebre vincotto) sia per la confezione di numerosissimi prodotti tradizionali. Dall’utilizzo del mosto cotto di queste uve nere nasce questa apprezzata birra scura e dalla gradazione alcolica sostenuta (10% appunto). Jurij Ferri a Spoltore, sempre con mosto cotto ma questa volta ottenuto dalle pregiate uve Montepulciano, produce invece la sua fantastica birra di Natale, la Grand Cru Santa Claus, speziata con zenzero, pepe, cannella e noce moscata. Una birra d’estrema eleganza, versione natalizia della già straordinaria Grand Cru, a cui viene appunto aggiunto anche il mosto ottenuto in caldaie di rame riducendo per ore il volume iniziale del vino. Ultima creazione di Riccardo Franzosi è invece la Tibir, prodotta utilizzando acini d'uva bianca Timorasso dei colli tortonesi e poi maturata in legno. Ne deriva una birra dal colore dorato con una gradazione intorno ai 7,5% dagli straordinari profumi di frutta bianca e quella classica secchezza e leggera nota acidula derivante dalla tannicità delle uve utilizzate. Nella linea sperimentale delle produzioni brassicole, birre del genere, per quanto estremamente innovative, sembrano quasi porsi in controtendenza, perché aprendo nuovi spazi comunque ritracciano i confini della tradizione e non ricercano una sperimentazione fine a sé stessa. Riportando la conclusione d'un articolo del grande Kuaska «Noi italiani abbiamo una marcia in più, ci viene dall’innata fantasia che sa sfociare in creatività e soprattutto in originalità». E appunto grazie alla maestria dei nostri birrai le tre birre sono di un livello qualitativo assoluto, ma non poteva essere altrimenti..

13 febbraio 2009

Per pochi o per tutti

Negli ultimi tempi non posso fare a meno di notare una tendenza in crescita esponenziale e farmi una domanda. Ma andiamo con ordine. Il dato di fatto è che, dove più dove meno, il trend nella produzione sia quello di indirizzarsi verso sperimentazioni e ricerche sempre nuove, a volte in linea con la tradizione, altre in totale rottura. E questo è sacrosanto. In ogni campo, se una volta raggiunto un obiettivo o comunque affinata una tecnica di base, non si mirasse a un ulteriore (continuo) miglioramento, non ci si ponessero traguardi più ambiziosi, tutto resterebbe cristallizzato, fermo ad un punto morto. E qui arriva la domanda. Il fatto è che obiettivo di ogni birraio, di ogni associazione o singolo appassionato, esperto o evento ad hoc, è o dovrebbe essere soprattutto la diffusione della birra artigianale. Intesa nel senso più semplice di concreta attività, ognuno nel suo piccolo, per far sì che più gente possibile possa avvicinarsi a quest’ “altra" birra. Non è che quindi questa tendenza sia un pò autoreferenziale? Mi spiego meglio. Potrebbe accadere che da una parte, prodotti “estremi” o comunque più particolari, levino qualche soddisfazione a chi già conosceva questa realtà, ma dall’altra invece creino un vuoto con chi si stava avvicinando a questo mondo per la prima volta. E sarebbe un’arma a doppio taglio. Parlando in concreto, penso sia una Tipopils, una ReAle, una Saison Dupont o una Summer Lightning che, pur nella loro splendida qualità, possano avvicinare un neofita alla birra artigianale. Ogni stacco dev’essere sempre graduale. La complessità e la differenza tra birre del genere e quelle di largo consumo potrebbe essere forse troppa per invogliare i neocuriosi all'assaggio o per convincere a un bis chi non si fosse ancora mai accostato alle craft beer. Eppure molti produttori tendono a privilegiare sempre più sperimentazioni innegabilmente mirate solo ad un certo target, diciamo di "conoscitori". La supermoda tutto-imperial, sour, barrel/oak aged, ci sta regalando (per buona parte da oltreoceano) molte bontà sì, ma personalmente spero che non si arrivi mai al punto che qualche nuovo adepto, incuriosito da questa realtà, entrando in un negozio su 10 birre ne trovi 6 tra barriquee qui, limited edition lì e altro. Agostino Arioli lo va ripetendo da sempre, è dagli stili tradizionali che si deve partire, quello è il punto di partenza («La birra è bevanda popolare che come valore aggiunto ha la freschezza, la leggerezza e la varietà. Un assaggio valido di una birra dovrebbe prevedere l'assunzione di almeno due litri della stessa.» Salone del gusto 2004). Ad un amico che volesse provare una birra artigianale insomma, non offrirei una Paradox Islay Cask, ma più probabilmente una Bibock. E se, ingolosito, volesse anche provare qualcosa di più particolare (ma non da shock iniziale), bè sarebbero sempre birre tradizionali a darmi una mano, dall’insuperabile Schlenkerla alla Duchesse de Bourgogne, o patriotticamente qualcuna delle nostre innumerevoli bontà, che ben poco hanno da invidiare agli altri quanto a qualità e inventiva.

4 febbraio 2009

Amanti d'arte

Quando da pochi elementi iniziali, componendoli nei modi più svariati, si possono ottenere infinite combinazioni sempre nuove e differenti, ma sempre interessanti ed emozionanti, ciò che ne scaturisce è arte. Non c’è dubbio. Lasciando stare la gamma infinita dei gusti personali, quando qualcosa si presta ad infinite interpretazioni individuali, il risultato è certamente una forma d’arte. E’ così quando con sette note si scrive la Sinfonia n. 9, con pochi colori di base si dipinge la Vocazione di San Matteo o con le parole che tutti avremmo a disposizioni si compone il Canto notturno. Ora per carità, ad un livello sicuramente più popolare, volgare, nel senso però latino del termine, molte altre sono le possibili “forme d’arte”, a partire da ogni tipo di folclore territoriale, alle infinite tradizioni gastronomiche, fino alle conoscenze enologiche perse nei tempi. E qui arriviamo a noi. Appassionati amanti della millenaria cervogia e forse, in quest’ottica, amanti d’arte. La creazione di qualcosa di unico, avendo a disposizione di base solo i quattro ingredienti standard, su cui operare aggiunte personalissime, è secondo me non solo una forma d’arte, ma anche tra le più appassionanti e stimolanti. La continua ricerca d’un’idea innovativa, con un tratto marcatamente personale, l’evoluzione d’un’idea di birra, l’inseguimento dell’obiettivo di riuscire a creare esattamente quello che si aveva in mente, la credibilità ottenuta per la continuità della qualità, sapendo che alla creatività non vengono posti limiti in questo campo, sono evidenti segni dell’impronta fortemente artistica della produzione brassicola. Nei casi di maggiore estrosità infatti, com’è certamente per il capostipite Teo Musso, ecco che i campi creativi si affiancano tra loro e troviamo fermentatori per la birra su cui sono montate cuffie che alternano diversi tipi di musica, per sperimentare quali possano essere gli effetti delle vibrazioni sonore sui lieviti durante la fermentazione. Dopo una visita a Piozzo qualche tempo fa, il presidente della British Guild of Beer Writers Tim Hampson ha scritto: «I don’t know if the beer I drank rocked to Led Zeppelin or chilled out to Sigur Rós, but what a story.». Non è così?

24 gennaio 2009

Beer World Party


Venerdì grande serata al 4:20 per il Beer World Party. Badare: non era solo la -festa delle birre del mondo-, ma la –festa del mondo della birra-. E lo è stata sul serio. Per la presenza di mastribirrai e appassionati, per una cotta pubblica che ha permesso agli interessati di capire, seguire e godersi concretamente il processo di birrificazione e per la cura nell’organizzazione con cui si è voluti andare oltre l’ottima bevuta, come dimostrava la presenza di utili “guide alla serata” con molte informazioni sulle birre a disposizione e qualche dettaglio tecnico per i più curiosi. Non dimentichiamo 18 birre alla spina e 3 dai cask. Tutto questo grazie ad Alex Liberati, patron del locale, che presentava così le tre serate: «Un’occasione per fare il punto della situazione, per focalizzare cosa sta realmente accadendo oggi nel mondo della birra. Un momento per dare uno sguardo alle tradizioni da cui proveniamo e per cercare di capire cosa fare in futuro. Uno strumento per valutare dove in tutto questo si posiziona il movimento brassicolo italiano, tanto discusso e parlato». Per far questo, tre serate, ottimi piatti d’accompagnamento e più di 70 birre suddivise in tre gruppi: Punto di partenza – Belgio, Germania e Inghilterra; Venti di cambiamento – Italia e Olanda; Birre estreme – America, Danimarca, Finlandia e Norvegia. Un pò per patriottismo spinto e un pò per alcune delle birre presenti, abbiamo optato per la serata Italia-Olanda. C’era solo l’imbarazzo della scelta: le nostre White Dog (Barrel Porter, Boot Hill, Tall Dark Stranger), Montegioco (Mummia, Tibir, Quarta Runa), Ducato (Viaemilia, A.F.O. New Morning) e dall’Olanda, De Molen (Rasputin 2007, Hel & Verdoemenis, Ruig & Rood, Hemel & Aarde, Bommen & Granaten, Lusten & Lasten, Amarillo), De Prael (Willeke, Willy, Mary 2007, Rotten Father), Klein Duimpje (Imperial Russian Stout, Hillegomse Hangkous). Difronte a tanta abbondanza, non si può che posporre la propria salute (e patente nel peggiore dei casi) al dovere d’assaggio e iniziare a saccheggiare spine e cask. Ora, sulle Montegioco di Riccardo Franzosi, presente alla serata, non c’è più nulla da aggiungere: qualità alta e costante, estro unico per creazioni particolarissime:birre uniche e riconoscibilissime. La Mummia, che avevo già provato nella versione “liscia” e che abbiamo trovato in versione “mossa”, rifermentata con lieviti da vino e l’ormai celeberrima Quarta Runa, con pesche di Volpedo, non si dimenticano facilmente e finalmente ho potuto assaggiare la Tibir, prodotta con uva Timorasso spremuta e bollita: il risultato è una birra color oro, dal naso elegante e di grande bevibilità. In forma anche l’APA di White Dog e la Boot Hill, ma se è una botta di luppolo che cercate allora l’A.F.O. del Ducato può levare grosse soddisafazioni. Spostandoci più su in Europa, arrivano le birre (sono un’infinità) di Menno Olivier di De Molen, che al 4:20 occupano fisse almeno qualche spina. Negli anni le birre del Mulino di Bodegraven si sono fatte apprezzare sempre più, in particolare per l’impressionante vastità di scelta (praticamente di tutto). Durante la serata al mastro birraio Menno Olivier è stato dato il premio per “Miglior birrificio dell’evento”. Tra le varie ho assaggiato la Hemel & Aarde (cielo e terra), imperial stout prodotta con i malti torbati della distilleria scozzese di Bruichladdich, la Lusten & Lasten (gioie e dolori) una triple molto fruttata e la Ruig & Rood (rozza e rossa) ottima irish red amara e vellutata, con l’aggiunta di luppolo Saaz in dry hopping, che regala note equilibrate ed eleganti. Di De Molen non potete assolutamente perdere la Bommen & Granaten, grande barley wine minacciosissimo dall’alto dei suoi 16°. In mezzo abbiamo infilato una stucchevole spremuta di caramello, la Mary di De Prael. Che dire di questo Beer world party, l’atmosfera era accogliente, il bicchiere sempre pieno ed io, dopo questa decina di birre,orizzontale..Questi di solito sono indizi d’una gran bella serata. E’ sempre piacevole poter provare e scoprire nuove birre e lo è ancor di più quando eventi ad hoc sono organizzati qui a Roma, segno d’una scena brassicola in fermento, d’un interesse che cresce e di nuovi curiosi illuminati che si avvicinano a questa grande realtà.

18 gennaio 2009

I guerrieri della notte

Prendo spunto dall’articolo d’un amico per analizzare un po’ l’ultima ondata repressiva abbattutasi sulla Capitale. Siamo alle solite. E quel che è peggio è che neanche ci sorprende più. Questa abitudine tutta italiana di bypassare i problemi, di non voler proprio cercare le soluzioni, perché le proibizioni sono più a portata di mano, oltre che più efficaci ad una prima occhiata. Perché sbattere la testa su programmi razionali, quando si può tranquillamente contare sui divieti. Però il cerchio non si chiude solo con la minaccia d’una sanzione, perché tutto fila apparentemente liscio fino a quando è fatta rispettare, ma è solo per coazione che tutti si adegueranno ad essa e prova ne sia che se la si elimina, i comportamenti si riallineeranno allo status quo. E peraltro è normale che sia così, soprattutto quando il divieto trova fondamento su basi concrete quanto mai fragili. Misure adeguate e non sotto la minaccia d’una pena, quelle sì hanno molte probabilità in più d’essere rispettate spontaneamente e quindi durevolmente. E non c’è niente di peggio che dover subire le conseguenze dei comportamenti altrui. E non parlo della regola causa-effetto d’un passante che mi da all’improvviso un pugno in faccia e che mi fa ritrovare a terra, ma di quando ci vengono imputati problemi di cui non siamo noi la causa. I problemi, oggettivamente innegabili, che si vengono a creare soprattutto la sera, nelle grandi città come Roma, non si risolvono da un giorno all’altro. E su questo siamo tutti d’accordo. Ma non si va al pronto soccorso per un raffreddore. Soprattutto non si giudicano i problemi con la fretta dettata da esigenze di visibilità politica e con l’obiettività di chi preferisce attraversare il fiume su un ponticello traballante, piuttosto che allungare un po’ e passare sulla terra ferma. Quale scrupoloso medico ha fatto la sua diagnosi stavolta? Roma è malata? Si vedono flotte di particelle che la infestano ogni sera banchettando e schiamazzando ovunque. E questo male va sradicato ad ogni costo. Anche se dovesse essere necessario eliminare anche gli anticorpi. D’altra parte non c’è né tempo né possibilità di stare a distinguere questi dai batteri. Vietiamo la vendita di alcolici e rafforziamo la cura triplicando le visite di controllo in mano alle forze dell’ “ordine” e questa sferzata antibiotica risolverà ogni problema. Se non fosse che interrotta la profilassi, il paziente senza più anticorpi va incontro a destini ben peggiori di prima. Perché il bravo medico visita scrupolosamente l’ammalato e prescrive una cura che sia tarata sulle reali condizioni dello stesso e non prescritta forfettariamente. Perché in quest’ultima ipotesi qualcuno magari si salva, ma qualcun altro ci lascia le penne. Non solo, ma quello stupisce di più è che in una situazione in cui il male è certamente dovuto al concorso di varissime situazioni debilitanti, l’Ippocrate del senso civico abbia individuato una sola causa. E stranamente solo la più appariscente. Col classico trasandato lassismo di chi punti tutto sul numero dei visitati e non sulla qualità della cura. Perché se provasse a vedere quali e quante sono realmente le cause, sarebbe costretto a seguire il paziente molto più da vicino e con ben altro dispendio d’energie. E quindi tutto e tutti, attaccabrighe e urlatori, calciatori notturni e predatori sessuali, evasi e picchiatori professionisti, xenofobi e recidivi, esaltati della pista sia quella da ballo che quella da sballo, trovano tutti la causa della propria “urbanisticamente indecorosa” euforia, nell’alcol da asporto. Senza differenze oltretutto tra chi ne abusi realmente e chi se lo goda invece per passione. D’altra parte è anche medicalmente risaputo che l’alcol bevuto per strada è ben più inebriante di quello consumato tra quattro mura e che se bevessi una birra alle 22.00 fuori dal pub di un amico, avrei istinti criminosi ben peggiori di se prosciugassi una bottiglia e mezzo di whisky seduto dentro a un tavolo. Sta tutto nell’aria secondo la mia attenta diagnosi, quand’è “aperta” è più narcotizzante, anche per colpa di Sirchia (forse era in combutta con tutti questi lestofanti?) che ha dato a tutti il permesso di fumare fuori. E anzi è ingrato, chi non senta di dover anche un ringraziamento ai saggi terapeuti del Comitato provinciale per la sicurezza, che invece ha voluto scartare l' ipotesi del sequestro immediato delle bottiglie, che pure era stata ventilata: avrebbe significato dichiarare fuorilegge tutti quelli che, invitati a casa di amici che abitano in centro, decidono di portare in dono uno champagne, ma era un prezzo ch’ero pronto a pagare per non dovermi guardare le spalle ad ogni angolo. Parla da laico di medicina il presidente di Confcommercio Cesare Pambianchi quando dice che «È una strada che sacrifica solo chi non è causa del fenomeno. È una privazione di libertà. Capisco l' emergenza, ma così rischiamo di diventare la città dei divieti». Lui guarda solo al vile metallo, non pensa al bene del suo gregge. Vabbè, mi fermo. Solo una cosa mi consola: che se neanche Rex Banner è riuscito a vincere sullo stop all’alcol (a Barney: «senti spugna, te lo dirò in modo chiaro e semplice: dove hai sgraffignato lo spirito? Qualche bettola occulta sta spillando birra aum aum?» ) non sarà di certo un’equipe guidata da un Pecoraro a toglierci questo piacere! (Banner [prendendo Flanders per la maglia]: -Sei tu il Barone Birra?- Ned [sorride imbarazzato]: -Ahah…se intende lo sciroppo al luppolo, mi ritengo colpevole, colpevolino, colpevoletto, vostro onore!- Banner: -Non è il Barone Birra [sussurrando rivolto agli agenti] però sembra brillo… dentro!- ).

12 gennaio 2009

Kerkom 4:20 Smuggle brew


Marc Limet, da una decina d'anni anima e corpo della Brouwerij Kerkom, celebre soprattutto per le sue Bink, le Adelardus e la natalizia Winterkoninkske, ha brassato una birra dedicata all'amico Alex Liberati della Brasserie 4:20. Come si legge sul retro si tratta di una blond bier prodotta dal mastrobirraio belga unendo quelli che sono i gusti e le preferenze suoi e di Alex. La produzione è destinata però particolarmente all'America, al Belgio e all'Olanda e qui da noi non ne arriverà molta, cosa che rende questa Kerkom ancor più rara da trovare: io ho avuto la fortuna di avere qualche bottiglia direttamente nel locale di Alex sotto Natale, quando la 4:20 Smuggle Brew (birra di contrabbando) era arrivata da poco; sarà peraltro possibile provarla alla spina nella brasserie di Via Portuense il 22 di questo mese in occasione della prima serata del World beer party (22/23/24 gennaio).