13 febbraio 2009

Per pochi o per tutti

Negli ultimi tempi non posso fare a meno di notare una tendenza in crescita esponenziale e farmi una domanda. Ma andiamo con ordine. Il dato di fatto è che, dove più dove meno, il trend nella produzione sia quello di indirizzarsi verso sperimentazioni e ricerche sempre nuove, a volte in linea con la tradizione, altre in totale rottura. E questo è sacrosanto. In ogni campo, se una volta raggiunto un obiettivo o comunque affinata una tecnica di base, non si mirasse a un ulteriore (continuo) miglioramento, non ci si ponessero traguardi più ambiziosi, tutto resterebbe cristallizzato, fermo ad un punto morto. E qui arriva la domanda. Il fatto è che obiettivo di ogni birraio, di ogni associazione o singolo appassionato, esperto o evento ad hoc, è o dovrebbe essere soprattutto la diffusione della birra artigianale. Intesa nel senso più semplice di concreta attività, ognuno nel suo piccolo, per far sì che più gente possibile possa avvicinarsi a quest’ “altra" birra. Non è che quindi questa tendenza sia un pò autoreferenziale? Mi spiego meglio. Potrebbe accadere che da una parte, prodotti “estremi” o comunque più particolari, levino qualche soddisfazione a chi già conosceva questa realtà, ma dall’altra invece creino un vuoto con chi si stava avvicinando a questo mondo per la prima volta. E sarebbe un’arma a doppio taglio. Parlando in concreto, penso sia una Tipopils, una ReAle, una Saison Dupont o una Summer Lightning che, pur nella loro splendida qualità, possano avvicinare un neofita alla birra artigianale. Ogni stacco dev’essere sempre graduale. La complessità e la differenza tra birre del genere e quelle di largo consumo potrebbe essere forse troppa per invogliare i neocuriosi all'assaggio o per convincere a un bis chi non si fosse ancora mai accostato alle craft beer. Eppure molti produttori tendono a privilegiare sempre più sperimentazioni innegabilmente mirate solo ad un certo target, diciamo di "conoscitori". La supermoda tutto-imperial, sour, barrel/oak aged, ci sta regalando (per buona parte da oltreoceano) molte bontà sì, ma personalmente spero che non si arrivi mai al punto che qualche nuovo adepto, incuriosito da questa realtà, entrando in un negozio su 10 birre ne trovi 6 tra barriquee qui, limited edition lì e altro. Agostino Arioli lo va ripetendo da sempre, è dagli stili tradizionali che si deve partire, quello è il punto di partenza («La birra è bevanda popolare che come valore aggiunto ha la freschezza, la leggerezza e la varietà. Un assaggio valido di una birra dovrebbe prevedere l'assunzione di almeno due litri della stessa.» Salone del gusto 2004). Ad un amico che volesse provare una birra artigianale insomma, non offrirei una Paradox Islay Cask, ma più probabilmente una Bibock. E se, ingolosito, volesse anche provare qualcosa di più particolare (ma non da shock iniziale), bè sarebbero sempre birre tradizionali a darmi una mano, dall’insuperabile Schlenkerla alla Duchesse de Bourgogne, o patriotticamente qualcuna delle nostre innumerevoli bontà, che ben poco hanno da invidiare agli altri quanto a qualità e inventiva.

4 febbraio 2009

Amanti d'arte

Quando da pochi elementi iniziali, componendoli nei modi più svariati, si possono ottenere infinite combinazioni sempre nuove e differenti, ma sempre interessanti ed emozionanti, ciò che ne scaturisce è arte. Non c’è dubbio. Lasciando stare la gamma infinita dei gusti personali, quando qualcosa si presta ad infinite interpretazioni individuali, il risultato è certamente una forma d’arte. E’ così quando con sette note si scrive la Sinfonia n. 9, con pochi colori di base si dipinge la Vocazione di San Matteo o con le parole che tutti avremmo a disposizioni si compone il Canto notturno. Ora per carità, ad un livello sicuramente più popolare, volgare, nel senso però latino del termine, molte altre sono le possibili “forme d’arte”, a partire da ogni tipo di folclore territoriale, alle infinite tradizioni gastronomiche, fino alle conoscenze enologiche perse nei tempi. E qui arriviamo a noi. Appassionati amanti della millenaria cervogia e forse, in quest’ottica, amanti d’arte. La creazione di qualcosa di unico, avendo a disposizione di base solo i quattro ingredienti standard, su cui operare aggiunte personalissime, è secondo me non solo una forma d’arte, ma anche tra le più appassionanti e stimolanti. La continua ricerca d’un’idea innovativa, con un tratto marcatamente personale, l’evoluzione d’un’idea di birra, l’inseguimento dell’obiettivo di riuscire a creare esattamente quello che si aveva in mente, la credibilità ottenuta per la continuità della qualità, sapendo che alla creatività non vengono posti limiti in questo campo, sono evidenti segni dell’impronta fortemente artistica della produzione brassicola. Nei casi di maggiore estrosità infatti, com’è certamente per il capostipite Teo Musso, ecco che i campi creativi si affiancano tra loro e troviamo fermentatori per la birra su cui sono montate cuffie che alternano diversi tipi di musica, per sperimentare quali possano essere gli effetti delle vibrazioni sonore sui lieviti durante la fermentazione. Dopo una visita a Piozzo qualche tempo fa, il presidente della British Guild of Beer Writers Tim Hampson ha scritto: «I don’t know if the beer I drank rocked to Led Zeppelin or chilled out to Sigur Rós, but what a story.». Non è così?