8 dicembre 2008

Birre sotto l'albero

Il 6 e 7 dicembre a Trastevere c’è stato Birre sotto l’albero, organizzato dal Ma che siete venuti a fà e dal Bir & Fud. Non si tratta di nient’altro se non del massimo a cui può aspirare ogni amante della buona birra, perché con la scusa di presentare le produzioni natalizie di alcuni dei maggiori birrifici italiani e non, hanno organizzato una spettacolare full immersion birraria di due giorni con un’infinità di chicche, di cui molte all’esordio e tutte alla spina, cosa è estremamente rara per molte birre se non si va direttamente “alla fonte”. Ad impreziosire l’evento già di per sé fantastico, la presenza di tanti mastribirrai che con l’occasione hanno potuto incontrarsi e confrontarsi, oltre che ovviamente brindare insieme e del grande Kuaska, che con la scusa dell’appuntamento ha tenuto due laboratori pomeridiani di degustazione. Le birre italiane erano: Birra del Borgo 25 dodici, Baladin Noel, Lambrate Brighella Sour edition, Troll Stella di Natale, Ducato Krampus, Bi-Du Xtrem, Amiata San Niccolò, più i fuori programma di Scarampola ovvero la IPA, la N°8 e la nuovissima Donna Petronilla e in esclusiva anche la Mummia di Montegioco. Per quanto riguarda i birrifici stranieri invece erano presenti: De Dolle Stille Nacht, Rulles Meilleurs Voeux, Dupont Avec Les Bons Voeux, De Ranke Pere Noel, Struise Tsjeeses, Tournay Noel e le due non natalizie Jule IPA di Beer Here nonché la Paradox batch n.1 (Caol Ila 1994) della scozzese Brewdog. L’incontro pomeridiano con Kuaska per degustare alcuni degli arrivi alla spina è stato un’occasione per sentire le opinioni di uno dei massimi esperti al mondo nel settore e per due risate, data la sua simpatia e disponibilità.


Si è detto estremamente soddisfatto della qualità raggiunta da moltissimi birrifici italiani, storici e più recenti, in questi dodici anni in cui dai “capostipiti” Agostino Arioli e Teo Musso, si è arrivati ai quasi 240 birrifici attuali, ma anche della sempre maggior competenza di molti gestori di birrerie, che è indubbiamente una delle chiavi più importanti per la diffusione d’una vera e propria cultura della birra artigianale e aggiungeva l’unica nota negativa chiedendosi come sia possibile che in Italia non si sia ancora seriamente diffusa la coltivazione d’un luppolo autoctono. Come accennavo a Birre sotto l’albero si sono uniti anche molti dei veri protagonisti della scena brassicola italiana, i mastribirrai come Leonardo Di Vincenzo della Birra del Borgo, Daniele Mainero del Troll, Riccardo Franzosi di Montegioco, Emanuele Aimi del Ducato, Gennaro Cerullo di Birra Amiata e Maurizio Ghidetti dello Scarampola che ha appena trasferito la sua produzione all’interno dell’abbazia di Santo Stefano, del 1200, a Millesimo e ha portato in anteprima la prima produzione della sua linea di birre d’abbazia, la Donna Petronilla. Che dire, l’atmosfera era fantastica, come sempre quando ci si trova riuniti per una passione comune, gli ospiti hanno portato tutta la loro esperienza per metterla a disposizione dei molti interessati e nel frattempo i bicchieri si riempivano numerosi di ottima birra. Molte delle birre già le avevo bevute, ma non alla spina e spesso la differenza non è poca, ma ho voluto provare soprattutto tutte le “nostrane” e quello che posso dire con certezza dopo due sbronze ben spese, è che è sempre più difficile rimanere delusi da una birra artigianale italiana. Riccardo di Montegioco ha tirato fuori un’altra grande birra, quella che con Kuaska hanno chiamato la Mummia perché rimasta a lungo “chiusa in casse di legno”, che nello specifico sono le barrique da vino in cui viene lasciata maturare. Leonardo ha invece prodotto una 25 dodici dai profumi fruttati e dal retrogusto decisamente amaro, non troppo allineata secondo me al classico stile delle natalizie, ma veramente eccezionale, così come ottima ho trovato anche la Xtream di Bi-Du, un barley wine quanto mai adatto a scaldare le serate d’inverno con i suoi 10 gradi ben mascherati dai sentori fruttati ben equilibrati da una luppolatura abbondante. Queste tre in particolare mi sono sembrate “in grandissima forma”, ma tutte le altre non avevano nulla da invidiare, dalla Noel Chocolat di Teo (sulle Baladin ogni commento è superfluo), alla Brighella del birrificio Lambrate, tra i migliori negli ultimi tempi come continuità nella qualità (come attesta la doppia vittoria all’ultimo concorso Birra dell’anno), in un’elegante versione sour o la rivisitazione tutta italiana della IPA al pompelmo di Scarampola, sempre fantastica. Tra le straniere, aparte le sempre ottime belghe "storiche" del Natale, merita in particolare la scozzese Paradox, un’imperial stout lasciata invecchiare in botti utilizzate precedentemente per il Caol Ila e la Tsjeeses ("Oh Gesù!") birra natalizia di Struise, fatta maturare per 8 mesi a 10° celsius con in infusione uva, arance e albicocche. Non si può non essere felici dello splendido lavoro dei nostri birrai e di chi ha organizzato questi due giorni insieme (lo staff del Macche e Bir & Fud e i Domozimurghi), speriamo solo che di eventi così ce ne siano sempre più spesso. Prosit!

5 dicembre 2008

Il Natale di De Dolle

Si sta avvicinando il freddo e allegro periodo di Natale, in cui ci si riunisce in casa con familiari e amici, per trascorrere le feste in compagnia. Ma è anche il periodo in cui bere una buona birra stagionale accanto a un caminetto acceso. Per questo un’antica tradizione del Nord Europa, vuole che in questo periodo si producano le birre di Natale, le fantastiche kerstbier. Quest’usanza affonda le proprie origini in Belgio e nasce semplicemente dalle necessità di consumo di birra più forte da parte delle famiglie che gestivano i numerosi birrifici in questa stagione e si è poi estesa ad amici e conoscenti, per diventare infine uno speciale regalo di fine anno per i clienti più affezionati. Le bières de Noël sono quasi sempre ad elevata gradazione alcolica, adatte alle rigide temperature invernali, speziate, dolci, corpose e dai profumi e sapori molto intensi: questo le rende estremamente adatte ai dolci della tradizione natalizia. Ne vengono prodotte moltissime e ovunque, ma la Stille Nacht di De Dolle ha un posto speciale tutto suo, come d’altronde tutte le loro birre. Il nome, Notte Silenziosa, si richiama alle più classiche tradizioni natalizie europee, “Stille Nacht Heilige Nacht” (più noto come “Silent Night Holy Night”) è infatti anche uno dei più celebri canti di Natale, scritto ormai due secoli fa in Austria e così i Birrai Matti di Esen hanno deciso di dare questo nome anche alla loro strong ale delle feste. Era il 1980 quando tre fratelli decisero rilevare l’antica brasserie Costenoble, nelle Fiandre occidentali, che stava per chiudere definitivamente i battenti. Così presentarono un progetto di acquisizione e ristrutturazione al loro consulente finanziario, che li definì semplicemente matti; ironicamente i tre fratelli Herteleer hanno voluto mantenere questo nome e così De Dolle Brouwers, probabilmente uno dei migliori birrifici d’Europa, vuol dire I Birrai Matti. Il mastro birraio è Kris Herteleer, artista nel senso vero della parola, architetto, pittore ma soprattutto estroso creatore di alcune delle più fantastiche birre dell’intero panorama europeo, l’Oerbier, la primissima prodotta e poi Arabier, Dulle Teve (la puttana pazza), la Boskeun pasquale e l’Extra Stout, tutte riconoscibili dal classico papillon colorato sul collo delle bottiglie. E poi appunto la Stille Nacht, una delle perle della produzione di Kris tra le più apprezzate birre invernali, di cui rappresenta al massimo della qualità tutte le migliori caratteristiche, dalla robusta gradazione alcolica dovuta alla maggior densità tra tutte le strong ale belghe (ben 27 gradi plato), che sprigiona una sensazione diffusa di calore, al gusto dolce e fruttato dovuto alla lunga fermentazione di malto pale ale e zucchero candito, ben bilanciato però dalla nota amara del luppolo Nugget. Se vi capita di trovare una qualunque delle bottiglie con un papillon sul collo, compratela senza pensarci, è una certezza e vi sarete regalati una birra come poche altre. Se poi la trovate alla spina, allora sacco a pelo e bicchiere in mano..Buona bevuta!

17 novembre 2008

Birra dell'anno 2008

Sabato 15, nel corso della manifestazione Birra Nostra, sono stati annunciati gli attesi vincitori del premio Birra dell'Anno organizzato da Unionbirrai, la maggiore associazione per la promozione della birra artigianale italiana. Una giuria di 12 tra i maggiori esperti internazionali, presieduta e coordinata dal nostro Kuaska, ha votato le migliori birre italiane per ognuna delle varie categorie scelte, non individuate per lo stile d'appartenenza della birra ma secondo altri parametri produttivi, come l’abbinamento tipo di fermentazione/gradi Plato (scala di misurazione relativa alla gradazione saccarometrica del mosto di birra, es: 100gr di zuccheri per 1 Kg di mosto = 10% Plato ovvero 10 gradi Plato) o l’uso di particolari ingredienti. Alla fine i risultati sono stati questi:

Birre a bassa fermentazione entro 14 plato
Prima classificata: La Nera - Birrificio Rienzbräu
Seconda classificata: Viæmilia - Birrificio del Ducato
Terza classificata: Tipopils - Birrificio Italiano

Birre a bassa fermentazione oltre 14 plato
Prima classificata: Porpora - Birrificio Lambrate
Seconda classificata: Volpe - Birrificio Mostodolce
Terza classificata: Rubinia - Birrificio B.A.B.B.

Birre ad alta fermentazione entro 12 plato
Prima classificata: Montestella - Birrificio Lambrate
Seconda classificata: Bia Ale - Birrificio del Ducato
Terza classificata: Terrarossa - Birrificio B94

Birre ad alta fermentazione comprese tra 12 e 16 plato
Prima classificata: Jehol - Birrificio BI-DU
Seconda classificata: A.F.O. - Birrificio del Ducato
Terza classificata: Karnera - Birrificio Cittavecchia

Birre ad alta fermentazione oltre 16 plato
Prima classificata: Reale Extra - Birrificio Birra del Borgo
Seconda classificata: Lurisia Otto - Birrificio Baladin
Terza classificata ex-aequo: Doppio Malto - Birrificio Rienzbräu
Terza classificata ex-aequo: Strabionda - Birrificio Freccia

Birre aromatizzate con spezie o frutta
Prima classificata: Scires - Birrificio Italiano
Seconda classificata: Garbagnina - Birrificio Montegioco
Terza classificata: Fich - Birrificio Valscura

Birre con altri cereali o amidacei
Prima classificata: La Petrognola Nera - Birrificio La Petrognola
Seconda classificata: La Petrognola - Birrificio La Petrognola
Terza classificata ex-aequo: Weisse Panera - Birrificio Valscura
Terza classificata ex-aequo: B.I. Weizen - Birrificio Italiano

Birre alle castagne
Prima classificata: Beltaine alle castagne - Birrificio Beltaine
Seconda classificata: Lom - Birrificio Cajun
Terza classificata: Beltaine birra di natale alle castagne - Birrificio Beltaine

Birre oltre 20 plato / 8 % alc vol
Prima classificata: Xyauyu’ Riserva Teo Musso - Birrificio Baladin
Seconda classificata: BB 10 - Birrificio Barley
Terza classificata: Extra Brune - Birrificio Maltus Faber

Birre acide o maturate in legno
Prima classificata: La Mummia - Birrificio Montegioco
Seconda classificata: Super Baladin “Sour 2006″ - Birrificio Baladin
Terza classificata: Panil Barrique Sour - Birrificio Torrechiara

Premio speciale “Interbrau” - Birrificio dell’Anno 2008
Birrificio Baladin di Piozzo

13 novembre 2008

Allsopp’s Arctic Ale

Ogni tanto si sente qualche lamentela sui prezzi delle birre artigianali. Vi siete mai chiesti quale sia la più preziosa, la più rara? Io no, sarà perchè quelle che bevo già sono ottime o forse perchè invece di collezionarle, le birre preferisco scolarmele. Comunque mai sentito parlare della Samuel Allsopp & Sons? Trattasi di una delle colonne portanti della storia birraria d'Inghilterra, nata nel 1740 in quella leggendaria culla di birre che è Burton upon Trent e scomparsa intorno alla metà del secolo scorso, rimasta per decenni uno dei principali birrifici delle terre d'Albione, tra i primi in assoluto specializzati nella produzione delle birre "coloniali" per eccellenza: le I.P.A. La classica forte luppolatura delle Indian pale ale consentiva una lunghissima conservazione della birra, durante gli interminabili viaggi per nave nell'Inghilterra del XVIII secolo. Oltre alla funzione amaricante di contrasto al malto e quella di fornire al mosto aromi e profumi sempre diversi, fondamentale infatti il ruolo che il luppolo gioca anche come conservante del tutto naturale che permette di mantenere a lungo le caratteristiche organolettiche della birra. Proprio questa particolare proprietà conservativa del luppolo ha favorito il trasporto, la diffusione e la conservazione della birra in tutto il mondo, anche e soprattutto nei lunghi viaggi dall'Europa alle colonie.
Nel 1845 una spedizione di due navi, guidata dal leggendario Capitano della Royal Navy britannica Sir John Franklin, salpò facendo rotta sull'Artico per finire di tracciarne le mappe e soprattutto per cercare il celebre passaggio a Nord-ovest, quella lingua di mare che unisce l'Atlantico al Pacifico nell'arcipelago artico a nord delle coste canadesi e controllare il quale vuol dire aggiudicarsi una delle vie commerciali navali più importanti del mondo. La spedizione non fece mai ritorno e sulle cause che provocarono la scomparsa di tutti i 129 uomini dell'equipaggio, pur ben attrezzati per far fronte a ogni imprevisto, aleggia tuttora un certo mistero. Presero il via a quel punto varie spedizioni di ricerca, la maggiore delle quali partì nel 1952 con cinque navi al comando dell'ammiraglio Edward Belcher. E qui torniamo a noi. Il governo britannico stesso commissionò alla più celebre brewery dell'epoca, una birra che fosse sia in grado di resistere per lunghissimi periodi in mare a quelle temperature, sia di fornire all'equipaggio una salutare fonte di nutrizione. Se sicuramente non era una novità il fatto che quella che oggi consideriamo una bevanda ricreativa, al tempo fosse addirittura sostituita al cibo come fonte d'apporto di sostanze nutrienti, certamente nuova fu la ricetta sperimentata dalla Allsopp & Sons per questa birra: la Allsopp's arctic ale. Grandi quantità di malto che fermentando avrebbe prodotto zuccheri e mantenuto un'elevata gradazione alcolica, per nutrire e "riscaldare" e molto luppolo affinchè la Arctic potesse resistere tutto l'interminabile viaggio. Ebbene non molto tempo fa una bottiglia originale di questa birra, ancora piena e col tappo ancora sigillato con la cera, della primissima produzione del 1852, è stata venduta a $ 503.300, poco meno di € 400.000. Scontato dire che questa è la più rara e preziosa birra esistente al mondo, oltre che in generale la bottiglia venduta al maggior prezzo in assoluto, anche perchè ha ancora un'originale etichetta metallica su cui è scritta a mano da un avvocato di Boston di inizio '900, tal Percy G. Bolster, tutta la storia della leggendaria Arctic ale e di come sia è giunta nelle sue mani.
Ora, non raccontavo questa strana e avvincente storia per arrivare a qualche conclusione, ma solamente perchè leggendone i dettagli, dentro di me pensavo che il collezionismo è certamente una gran passione, il valore storico e simbolico di una birra del genere non ha misura e presumibilmente crescerà con gli anni, ma con più di 390.000, ovvero il prezzo pagato, oggi potrei comprare qualcosa come 80.000 ottime bottiglie di ale a prezzo normale o comunque far bere ottima birra due o tre generazioni d'amici e parenti. De gustibus sì..Ma a me piace berla la birra..Cheers

3 novembre 2008

Mr. Murphy a Borgorose

E' arrivato domenica dalla Danimarca e calorosamente accolto già ieri sera con una bevuta in compagnia, ovviamente al Macche. Dopo l'esperienza alla GourmetBryggeriet Mike Murphy torna in Italia per un'attesa collaborazione con il grande Leonardo Di Vincenzo della Birra del Borgo e ricoprire l’incarico di direttore della produzione, occupandosi di seguire le cotte giorno per giorno e di progettare sia l’ampiamento del birrificio, sia i nuovi prodotti. Per l'occasione di ieri sera si sono battezzate due nuove spine, entrambe creazioni di Mike, una kellerbier con luppolo fresco e la Ølfabrikken Pale Ale. Molto saporita la prima, estremamente beverina la seconda, in cui i luppoli americani la facevano ovviamente da padroni. La seconda aveva già fatto molto parlare di sè ancor prima di essere commercializzata, per essere stata la prima birra di un importante birrificio europeo, il danese Ølfabrikken, ad essere proposta in lattina, come successivamente l'intera linea (Porter compresa). La scelta aveva lasciato e lascia perplessi i più strenui difensori della bottiglia, dato che solitamente la lattina non solo è ignorata dai produttori artigianali, ma viene addirittura considerata come elemento degradante per la qualità del prodotto finale. E' vero però che la tecnica produttiva ha fatto passi da gigante rispetto ai primi tempi in cui si cominciavano a vedere in circolazione questi contenitori d'alluminio, oggi nettamente più sicuri rispetto al mantenimento del gusto della birra, tanto che dagli Stati Uniti è nata una vera rivoluzione, con un numero sempre crescente di produttori pronti a puntare di nuovo sulle lattine. I vantaggi d'altra parte sono evidenti: maggiore facilità di trasporto, materiale completamente riciclabile e un livello di protezione dall’ossigeno e dalla luce nettamente più alto del vetro.
La base di partenza su cui Mike dovrà lavorare non potrebbe essere migliore di quella delle birre di Leonardo a Borgorose, quindi non resta che aspettare con estrema curiosità per vedere cosa potrà nascere da un connubio così speciale..

15 ottobre 2008

La magia trappista


In quel piccolo paradiso che è il Belgio, in sei abbazie, quasi tra la storia e leggenda, si producono le inestimabili birre trappiste, più un'opera d'arte che una semplice birra. Si utilizza spesso il termine trappista in modo inappropriato e vale la pena fare chiarezza perche' il significato è ben preciso e le birre che se ne fregiano hanno una storia ed un prestigio che non si puo' trascurare.
Storicamente l'Ordine dei Cistercensi della Stretta Osservanza nasce in Normandia nel 1664, nel monastero di Notre Dame de La Trappe, da cui il nome con cui i frati dell'ordine sono comunemente chiamati. Sin dall'origine i trappisti dedicano, per regola monastica, la maggior parte della loro giornata, oltre che ovviamente alla preghiera, a produzioni artigianali, come formaggi, cioccolata, vino e lavorazioni di erbe aromatiche di un livello qualitativo unico ma tra di esse ne spicca sicuramente una: la birra. La regola è tanto semplice quanto ferrea: per potersi chiamare trappista una birra deve seguire tre parametri: primo essere prodotta dentro le mura di un'abbazia dell'ordine, secondo da parte dei monaci e sotto il loro diretto controllo ed infine i guadagni devono essere diretti al sostegno della comunità monastica o a fini di assistenza sociale e beneficenza e non al profitto finanziario. Sono dunque escluse ad esempio le birre prodotte dentro le abbazie sì, ma da laici, o quelle prodotte su licenza fuori dai monasteri. Sono solamente sette le birre che rispondono a questi requisiti e che possono dunque fregiarsi del preziosissimo marchio "Autenthic Trappist Product": Chimay, Orval, Westvleteren, Westmalle, Rochefort, Achel e La Trappe. Queste sette antichissime e meravigliose abbazie, quasi tutte in Belgio tranne l'ultima che si trova in Olanda, sono le uniche di più di 170 sparse per il mondo appartenenti all'ordine trappista, che possono etichettare i loro prodotti con il celeberrimo marchio esagonale, che ha valore legale e serve a dare precise garanzie al consumatore sulla provenienza del prodotto e sulla sua fabbricazione. Riguardo al rigore con cui viene concesso il logo è accaduto ad esempio che al monastero olandese di De Koningshoeven che produce La Trappe , fosse revocata l'autorizzazione all'utilizzo del marchio dal 1999 all'ottobre 2005, a causa di un accordo commerciale con un grande gruppo industriale, violando tale condotta la regola della destinazione dei proventi della vendita delle birre ai soli fini del sostentamento dei monaci. La denominazione Authentic trappist product designa assolutamente solo un prodotto fabbricato nei monasteri cistercensi sotto la responsabilità dei monaci e senza alcun fine di lucro. Giusto poche settimane fa, si è svolta una storica votazione interna tra i monaci delle sette abbazie, che dovevano decidere se aumentare o meno la produzione, sotto le pressanti richieste del mercato internazionale. La coerenza di questa "democrazia in tonaca" e l'unanime risposta di chi ha dedicato la propria vita al motto ora et labora è stata no. Assolutamente no. E pazienza per i guadagni, pur ingenti. La regola parla chiaro e dice che non è certo per profitto che si lavora dentro le abbazie, ma è per i poveri e per chi ne ha bisogno, oltre che per i frati stessi; e l'antica strada non può essere abbandonata così facilmente, sedotti dal bagliore di quel futuro di ricchezza che il mercato della vasta produzione è pronto a promettere, in cambio di più bottiglie dei Trappisti. Ma è da sempre che si produce tanta birra, quanta ne serve affinchè attraverso la sua vendita possano essere soddisfatti i bisogni primari di chi vive nel monastero e di coloro che ad esso si appoggiano per mancanza di mezzi: né più né meno. Ora dunque quelle poche birre sembrano diventare ancor più preziose per questa prova suprema che i frati hanno voluto dare della passione incorruttibile con cui le producono. Rispettando la regola aurea per cui queste ricette lasciate in eredità da un abate all'altro, rimangono gelosamente sigillate all'interno delle mura medievali dei monasteri, quasi avvolte da un'aura magica che rende queste potiones del tutto speciali rispetto alle altre.




















1 ottobre 2008

A cena con Teo Musso

Due sere fa ho avuto il piacere di cenare con il geniale mastrobirraio di Baladìn, Teo Musso, che passando nell'Urbe per lavoro, ha organizzato una degustazione nell'enoteca d'un amico. Inutile dire del livello qualitativo della bevuta, anche e soprattutto perchè i piatti cucinati per abbinarsi ad hoc con ogni sua birra, sono riusciti se possibile ad esaltare ancor di più le già immense potenzialità delle Baladìn. E' qualche anno ormai che godiamo dei nettari di Teo, ma sentire personalmente quali minuziose e quasi maniacali ricerche ci sono dietro ogni singola cotta, quanta passione per riuscire a dare forma in un bicchiere ad una sensazione magari impercettibile di un profumo (provate la Nora per credere), ad un perfetto abbinamento di ingredienti che riescano a evocare nella mente di chi si accosta alle Baladìn, le stesse idee di gusto immaginate da Teo. Questo è quello che ci ha detto. Escludendo i tecnicismi d'una produzione brassicola di livello ormai internazionale, l'essenza delle sue parole stava semplicemente in questo, nel voler riuscire a trasmettere attraverso le sue creazioni birrarie, sensazioni realmente vissute e tutta la passione per questo lavoro. Ed è fantastico che infatti a fine cena, da custode fiero ma geloso, è stato proprio lui a voler personalmente servire bicchiere per bicchiere, quella straordinaria creazione nata da sperimentazioni sull'ossidazione che è la Xyauyù. Lui la definisce una birra da meditazione, da divano: 13,5 gradi, nessuna schiuma né alcuna percepibile frizzantezza, il colore è quello dell’ambra scura. Ci si deve concentrare un secondo per ricordarsi che si tratta di una birra, perchè la sensazione è quella unica di un passito o di un Sauternes, a cui lo stesso Teo ha detto di essersi ispirato. I toni dolci non sono minimamente stucchevoli e la persistenza in bocca lunghissima. Ricorda un cognac, un madera e non può essere così facilmente considerato un barley wine, perchè qui l'intensità olfattiva e gustativa e la forte impronta alcolica viene tutta dall'azione ossidante dell'ossigeno e dall'invecchiamento. Solo 4000 bottiglie l’anno di cui 1000 reperibili in Italia e una lavorazione di più di 22 mesi..Fate voi..

5 settembre 2008

A tutta birra in Baviera

Quando ho ordinato un boccale di Helles seduto in un birrificio di 958 anni fà in riva al lago, ho pensato per un attimo che posti come questo, in cui si vive di carne alla brace, freschetto di montagna anche ad agosto e soprattutto ottima birra, per uno con i miei gusti probabilmente sono simili al paradiso.

Il viaggio diretto fino alle Alpi bavaresi, apparentemente lungo, è volato tranquillo tra un riff di Keith Richards, qualche bel panino lonza e caciotta preparato con cura il giorno prima, aria condizionata fissa in modalità tempesta di ghiaccio e una buona quantità di sigarette, tra le migliori compagne di guida. Ovviamente condizioni di viaggio del genere hanno da subito minato la nostra salute. L'obiettivo era chiarissimo: arrivare in tempo per farsi qualche pinta a Tegernsee la sera a cena. Fino a dove cuore e spirito ci hanno guidato senza errore, abbiamo proseguito rinunciando al diabolico supporto dei nuovi ritrovati tecnologici, ma vicini alla meta, dove la strada s'inerpicava tra monti e paesi mai sentiti, abbiamo finalmente acceso il buon Tom Tom, per facilità detto semplicemente Tom. Senza che nessuno glielo avesse chiesto, Tom ha optato per un minor chilometraggio al prezzo di dover percorrere vie più simili a sentieri sherpa che a strade da civiltà progredite. Gli scorci e i paesaggi incontrati però, ci hanno ripagato della strada più lunga e alla fine di una salita tutta curve ci siamo trovati direttamente alla meta: il Tegernsee.

Su questo splendido lago affaccia uno dei più antichi birrifici del mondo, del 1050, ancora attivo in un antichissimo monastero benedettino poi divenuto sede dei Principi di Baviera. La birra prodotta è l' HTB (Herzogliches Bräustüberl Tegernsee).

A questo punto, prima d'ogni altra cosa, devo aprire una breve quanto obbligatoria parentesi. Se da sempre, da molto prima che in tante nazioni si diffondesse un neoculto birrario, la Baviera, insieme al Belgio, viene identificata come un paradiso della buona birra, è certamente per tradizione secolare, la passione vera della gente per questa bevanda, la sapienza nella produzione che i mastribirrai si tramandano di generazione in generazione, ma anche grazie ad un qualcosa in più che nessun altro paese al mondo ha mai avuto: il Reinheitsgebot. Il 23 Aprile 1516 nella città di Ingolstadt, il Duca di Baviera Guglielmo IV emanò il celeberrimo Editto della Purezza, la più antica normativa alimentare della storia, vigente ancora oggi. In essa si decretava per legge che la birra dovesse essere prodotta solamente con acqua, orzo e luppolo e si fissava inoltre il prezzo massimo per il Maß (un'unità di volume bavarese pari a 1.069 litri), in maniera tale che tutti potessero accedere alla birra. Nel testo originale del Reinheitsgebot non è menzionato il lievito, quarto e fondamentale ingrediente, solo perchè a quel tempo tale sostanza era sconosciuta, ma non appena venne scoperta, si aggiunse anche il lievito al canone della purezza, così come anche l'orzo venne successivamente sostituito dal malto d'orzo. Nell'editto si stabiliscono anche le sanzioni per la produzione di birra non conforme: al birraio che utilizza altri ingredienti possono essere confiscate senza alcun indennizzo le botti per cui sussista il dubbio . La Legge della purezza ha prevalso in Germania per 476 anni, sino al 1992, anno dell'unificazione economico-commerciale europea, che tra i vari danni alle produzioni locali, ha fatto sì che gli altri paesi europei costringessero la Germania ad adeguarsi alle normative comunitarie ed imponessero l'import di qualsiasi tipo di birra. Pur non essendo più obbligatorio il Reinheitsgebot, i tedeschi e i loro birrifici ancora oggi preferiscono produrre birra secondo legge della purezza, mantenendo cosi molto alta la qualità dei loto prodotti. La birra non conforme alla legge comunque, non ha mai fatto presa sul mercato tedesco, sia perché i consumatori non si sono mai dichiarati disposti a transigere sulla qualità e soprattutto sull'utilizzo di ingredienti diversi dai canonici quattro e sia perchè quel minimo che la Germania importa dagli altri paesi, difficilmente viene venduto. In Baviera in particolare il Reinheitsgebot è assolutamente ancora vigente e gli innumerevoli birrifici esistenti sono assolutamente intransigenti circa gli ingredienti da utilizzare nella produzione di birra per il consumo nella regione. Ci sarà d'altra parte un motivo se in Germania ci sono più birrifici (si superano i 5000) di tutte le altre nazioni del mondo messe insieme.

Nella fantastica Bräustüberl della HTB da 1200 posti, di cui 500 d'estate nella terrazza, vengono servite le celeberrime birre ducali di Tegernsee: una Helles, una Spezial, una Leicht e l'ottima Dunkel. Quest'ultima, che letteralmente vuol dire "scura", è insieme alle Kellerbier forse il più tipico stile di birra della Baviera. Appartiene alle lager, quindi comunque birre a bassa fermantazione, ma nonostante il nome non sempre le dunkel sono scure: il colore va infatti dall'ambrato al marrone/nero più compatto, spesso con fantastici riflessi rossi e una schiuma molto cremosa . Il biergarten (tavoli all'aperto) è a pochi passi dalla riva del lago, circondato dalle alte vette delle alpi bavaresi, ma la grande birreria è splendida anche dentro dove l'arredamento, le decorazioni e l'atmosfera sono rimaste immutate rispetto a qualche secolo indietro.

Da Tegernsee, sempre passando per boschi sconosciuti ad ogni cartografo ma non al mio Tom, siamo arrivati alla seconda ambitissima tappa, sperduta per le campagne del Sundergau intorno a Bad Aibling: il castello di Maxlrain. La prima costruzione di questo fantastico edificio risale addirittura all'epoca di Carlo Magno, ma purtroppo un incendio intorno al 1500 lo distrusse quasi totalmente, tranne la cappella. Il castello è stato ricostruito proprio intorno a questo nucleo originale e dal 1636 nel birrificio accanto ad esso, si producono alcune delle migliori birre della Germania.


Nella Schlossbrauerei (birrificio del castello) infatti, vengono ancora prodotte secondo le originali ricette artigianali, ben 13 Maxlrainer diverse, una migliore dell'altra, tanto che da anni ormai, ben 9 delle birre, si guadagnano l'ambita medaglia d'oro della DLG, uno dei più ambiti e importanti premi in assoluto nel settore brassicolo tedesco. Ben tre chiare, due weisse, le tre fantastiche birre della serie del castello, la Schloss Gold, la Schloss Weisse e l'eccezionale Schloss Trunk (la bevanda del castello), ovvero una kellerbier ambrata non filtrata, la "perla nera" di Maxlrain, la Schwarzbier scura prodotta con i migliori malti neri, una Zwickel, una forte doppelbock, la Jubilator e due birre di stagione, la Kirtabier e la Festbier per il periodo natalizio.

A pranzo nella bellissima bräustüberl del birrificio, davanti ad un enorme tagliere di formaggi bavaresi, abbiamo provato la Schloss Gold, la Zwickel Max e la Schwarzbier. Sono quei momenti in cui non ti vorresti mai alzare: il mix di una zwickel buona come questa e tutti quei fantastici formaggi locali, su di me ha un effetto letale. Già vale la pena di venire al castello per una semplice visita, ma se oltretutto riuscite a fermarvi per un pò con qualcuna di queste birre in mano, allora saranno ore di vera pace.

Dopo esserci rifocillati abbiamo proseguito sulla strada per Monaco. Sulla tradizione birraria di questa città è veramente inutile aggiungere qualcosa, tranne che in un viaggio alla ricerca di birre artigianali, la capitale bavarese deve essere inclusa più per l'importanza storica e l'atmosfera tradizionale delle sue birrerie che per la cura dei prodotti, spesso di alta qualità, ma non sempre entusiasmanti. Monaco è infatti patria delle famose sei “sorelle” birraie che ormai da molto tempo giocano su un territorio completamente industriale e parliamo ovviamente delle sei fabbriche principali della città: Augustiner, Hacker Pschorr, Hofbräu, Lowenbräu, Paulaner e Spaten-Franziskaner, che si riuniscono nella seconda metà di settembre per le tre settimane della celebre Oktoberfest.


Alcune delle storiche birre restano comunque ottime e vale la pena girare un pò la città, alla ricerca dei numerosissimi posti dove assaporarle nel loro gusto originario privo di pastorizzazione. Luogo principe per una bevuta intrisa di storia è certamente l’Hofbräuhaus, la birreria più grande e famosa del mondo (più di 5000 posti a sedere) dove scorre a fiumi l'Hofbräu (HB). Le sue enormi sale sempre strapiene oltre a vantare il primato mondiale di mescita giornaliera di birra (l’incredibile cifra di oltre 30000 litri in un giorno ottenuto durante le Olimpiadi del ’72), sono state anche teatro di storici eventi, come il discorso di fondazione del Partito nazionalsocialista che Hitler vi tenne nel febbraio del 1920. L'atmosfera gioconda lascia assolutamente storditi: la banda nella sala principale suona tutto il giorno canzoni bavaresi, decine di persone ballano qua e là in mezzo alle urla generali e la birra scorre incessantemente senza che la si debba neanche ordinare, nell'unica quantità possibile dentro all'Hofbräuhaus, ovvero il maß (1 litro). Fantastica la tradizione, non infrequente in queste lande, di predisporre da qualche parte dentro alle birrerie delle vere e proprie cellette chiuse con tanto di lucchettoni, dove i bevitori più "anziani" possono gelosamente custodire il loro personalissimo boccale. Quando si dice che la birra è tradizione..


Il più vecchio tra tutti i birrifici della città, l'Augustiner-Bräu, produce l'altra celebre birra di Monaco, a mio modestissimo parere nettamente la migliore tra le sei, può essere gustata nell'antico Grossgastätte, storico ristorante del centro dall'aspetto austero tipico dei locali monacensi, dove fino alla fine dell'800 veniva anche brassata la birra prima che l'intera produzione venisse trasferita nella nuova fabbrica in Landsberger Strasse. Qui, un pò fuori dal centro, annessa alla fabbrica, si trova la fantastica Augustiner Bräustuben, uno dei posti dove ho mangiato meglio nell'intero viaggio e dove è possibile bere Augustiner appena sfornate, grazie al sistema di tubi che dalla fabbrica nella sala accanto portano direttamente la birra al bellissimo impianto di spillatura. Qui per la prima volta, ma con estrema soddisfazione, mi sono ritrovato davanti a quella che, nel corso del viaggio, si è poi rivelata essere una tradizione bavarese ovvero il pfanne, una grande e vecchia padella piena di ogni ben di dio, che accompagnata a qualche Edelstoff fresca di produzione, aiuta a dare un maggior senso ai nostri giorni. Bellissima è anche la Paulaner Bräuhaus dove ho provato l'ottima Thomas Zwickl ambrata e corposa e una birra di stagione più scura e pesante in gradazione (disponibili entrambe anche nello straordinario formato "Pitcher" da 1,5 l). Anche qui devo sottolineare la bellezza degli impianti che dagli enormi tini di rame portano la birra direttamente alle spine, per la serie "anche l'occhio vuole la sua parte". Ovviamente un salto è stato doveroso anche al Lowenbräu keller con la sua celebre torre colorata ed il grande leone che troneggia sulla porta d'entrata, ma soprattutto con una sala delle feste da mille e una notte che può contenere da sola fino a più di 2000 persone sedute .

Non si può passare per la capitale bavarese senza fare un salto in uno dei più celebri templi della birra della Germania, il celeberrimo monastero di Andechs. Perso nelle verdi campagne intorno al lago di Ammer, il piccolo paese è da secoli meta di pellegrinaggio di migliaia di credenti per l'importantissimo e bellissimo monastero, ma dal 1455 meta di altrettanti fedeli della sacra bevanda nella bräustüberl dell'abbazia. Mai come nell'antico monastero benedettino in cima alla collina che domina le campagne tutt'intorno, mi è capitato di respirare un atmosfera così rilassata. Sarà per l'estrema bellezza del luogo o per la bontà delle birre prodotte ancora secondo antiche ricette dei monaci, fattostà che anche nell'affollata e rumorosa birreria dopo un pranzo regale a suon di prodotti del monastero (salumi e formaggi vari, pane all'anice e via così), dopo un'Andechs hell, un paio di dunkel e chiudendo con l'ottima e particolare apfelweisse (weisse e succo di mele), sono caduto in un profondissimo stato di trans mistico/meditativa, da cui mi sono ripreso solo un'oretta dopo, ovviamente grazie ad un'altra birra: ne sono uscito vagamente provato, ma illuminato. Non si può assolutamente passare per la Baviera senza andare ad omaggiare un posto come la birreria di Andechs, provando tutte le bontà birrarie e culinarie artigianali che i monaci producono con ingredienti che arrivano dalle campagne intorno al monastero, dove non è infatti difficile nel periodo estivo, vedere campi di grano in maturazione o piccole coltivazioni di luppolo in attesa della raccolta in autunno.

Altra tappa fantastica è stata quella all'abbazia di Weihenstephan, che per gli appassionati non ha bisogno di presentazioni in quanto birrificio più antico del mondo, che documenti storici datano aadirittura al 1040. La produzione di birra nell'abbazia benedettina di Frisinga iniziò in realtà addirittura nel 768, poco dopo la fondazione da parte di San Corbiniano, come testimonia un documento di quell'anno, che parla di un giardino di luppolo adiacente all'abbazia che già allora pagava un regolare tributo al monaci. Solo nel 1040 però l'imperatore Enrico III il Nero concesse all'abate Arnoldo di Weihenstephan il diritto ufficiale a produrre birra e a venderla agli abitanti nei dintorni. Nel monastero fino a quel momento si usava produrre solo una birra forte e scura ad uso e consumo interno, ma ben presto i frati cominciarono ad aromatizzarla col luppolo che si coltivava nei dintorni come alimento per il bestiame. Nacque così, con l'invenzione della luppolatura, la più antica birreria esistente e una delle scuole birrarie più importanti e imitate del mondo, da cui sono uscite generazioni e generazioni di mastribirrai.


L'interno del ristorante annesso al monastero è d'una bellezza sorprendente: cinque antiche sale ognuna differente dall'altra e di diversa grandezza danno posto a un minimo di 12 fino a 200 persone la più grande. Ciascuna ha il proprio nome dedicato a qualcuno, come la stanza del fondatore San Corbiniano, fino alla stanza di Santo Stefano patrono dell'abbazia o la "stanza del cocchiere". La scelta delle birre è quantomeno imbarazzante tra le 10 prodotte dai monaci, anche se il pezzo forte di Weihenstephan è indubbiamente la celeberrima weissbier. Personalmente mi sono buttato su un piattone di prodotti tipici con qualche bella coppa schiumosa di Vitus, una weizenbock buonissima, dall'aspetto docile ma ingannatore. Al santo che fondò il monastero è dedicata un'ottima doppelbock, chiamata appunto Korbinian, alla quale ho dovuto ahimè rinunciare in vista dei 300 chilometri che ci dividevano da Bamberga e che avrei altrimenti percorso cantando e zigzagando in allegria.
Da questa storica meta birraria abbiamo quindi preso le vie per Bamberga, sicuramente la tappa che attendevo con maggior curiosità (e sete) e che ha superato di gran lunga le mie aspettative. Già l'autostrada stessa ci ha regalato uno spettacolo più unico che raro, tagliando a metà la Valle dell'Hallertau, ovvero la più grande area coltivata a luppolo del mondo, di ben 180 km². Per enormi tratti del meraviglioso paesaggio collinare, a destra e sinistra della strada a perdita d'occhio non si vedono altro che le rinomate e pregiate piantagioni di luppolo Hallertau, che da solo rappresenta quasi il 50% della produzione mondiale di luppolo. Dopo due piacevolissime ore di macchina finalmente arriviamo in Franconia e alla sua perla Bamberga, che solo per minor fama mediatica si vede ingiustamente sottratta da altre città tedesche lo scettro di "capitale mondiale" della birra (per numero di birrifici presenti). La città è molto piccola, totalmente a misura d'uomo ed antichissima, tanto che l'intera città vecchia è stata dichiarata patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, per aver mantenuto completamente inalterato l'aspetto medievale di tutto il centro storico. E' inutile e riduttivo tentare di descrivere l'enorme bellezza di questa città costruita sulle sponde del fiume Reignitz e lo stupore che si prova a ritrovarsi catapultati in mezzo a vie e case che sembrano essersi cristallizzate ottocento anni fa, quando durante il Sacro Romano Impero per questi vicoli passeggiavano l'imperatore Enrico II e sua moglie Cunegonda.

Per un appassionato di birra Bamberga è in assoluto il massimo e nonostante sia piccola ha da secoli una tradizione birraria come poche altre al mondo. Fino a non molti anni fa per gli splendidi vicoli del centro erano sparsi decine e decine di antichi birrifici, piccoli e spesso gestiti da singole famiglie; oggi ne sono rimasti esattamente 10, comunque moltissimi se si pensa alla ridotta grandezza della città e al numero esiguo degli abitanti. Girando per le stradine del centro ci si imbatte spesso in antichi locali dove i birrai orgogliosamente servono i propri prodotti artigianali. Una menzione a parte, quando si parla di Bamberga, merita però la Heller Trum, uno dei più noti e particolari birrifici al mondo e una goduria per ogni conoscitore, che produce la mitologica Schlenkerla Rauchbier, ovvero la birra affumicata. Il particolare nome deriva dal dialetto della Franconia: "Schlenkern" è un vecchio termine tedesco che significa zoppicare, barcollare: pare infatti che un vecchio birraio avesse un simile difetto a causa di un barile di birra cadutogli su una gamba e fosse quindi chiamato Schlenkerla (il suffisso "la" è, tipico del dialetto del luogo): dopo qualche tempo il nomignolo passò ad indicare il locale di mescita e la birra stessa sul cui logo è ancora raffigurato uno zoppo col bastone. Una leggenda locale sull'origine della rauchbier (testualmente birra affumicata) narra che da un incendio si sprigionò un'enorme nube di fumo che avvolse anche la birra già pronta, causandone l’originalissimo aroma affumicandola. Il produttore però, non potendosi permettere di sprecare tutti gli ingredienti già utilizzati, la vendette comunque accorgendosi subito con enorme sorpresa che i clienti ne andavano matti. Ne nacque un vero e proprio stile birrario assolutamente tipico della zona di Bamberga e di cui la Schlenkerla è senza dubbio la più rinomata al mondo. Il birrificio è giustamente geloso della paternità delle birre affumicate di Bamberga, come indica la scritta Aecht Schlenkerla Rauchbier ("Originale Birra affumicata Schlenkerla") che campeggia anche su una vecchia grande insegna all'entrata della meravigliosa locanda in centro. La birra viene prodotta secondo la ricetta originale dell'editto della purezza e dunque solo con acqua, malto d'orzo e luppolo, ma qui c'è una differenza importante nella preparazione del malto, che viene posto su una rete metallica a maglia stretta e seccato dal calore proveniente da un fuoco sottostante, preparato solo con legno di faggio invecchiato: il fumo passa attraverso l'essiccatoio e conferisce al malto il suo caratteristico aroma affumicato oltre che il tipico colore scuro. La celebre locanda, all'interno d'una vecchissima casa a graticcio d'una bellezza unica, ha mantenuto assolutamente immutato l'aspetto austero e antico delle sue quattro sale, in cui abbiamo avuto il piacere di gustare qualche seidla (mezzo litro) di Schlenkerla märzen spillata direttamente a caduta da grandi botti di rovere. Già fa un effetto veramente particolare, ritrovarsi a bere in una taverna di secoli fà, ma quando ci hanno indicato per sederci un piccolo tavolo vicino ad un enorme camino sotto le volte gotiche del Klause, un'ex cappella del 1300, giuro che non mi sarei sorpreso se avessi visto entrare a bere anche un paio di cavalieri e qualche cantore. Ricordo la prima volta che a Roma, grazie al grande Manuele e al suo incessante lavoro di proselitismo birrario, provai questa specialità alla spina. Penso sia inevitabile per chiunque, per quanto abituato a bere birra, chiedersi da subito cosa renda questa Schlenkerla così particolare, ma è la classica domanda a cui non si può veramente rispondere, senza averla provata. Già l'intenso color mogano con forti riflessi rossi lascia stupefatti, come il bel cappellone di schiuma, ma è solo avvicinandola alla bocca e al naso che s'intuisce cosa si sta per buttare giù: una vera bontà in cui l'affumicato non è solo accennato ma letteralmente invade naso e bocca con sentori di bacon e scamorza. Sulle prime lascia sorpresi, ma è sicuramente una di quelle birre che, come una bella canzone può non convincere al primo ascolto, merita di essere provata ancora e ancora fino ad apprezzarne ogni sfumatura. Andare a bere qualche bel boccale di Schlenkerla dalle botti nella vecchia taverna di Bamberga è un'esperienza unica, anche per provare la sensazione di farsi una birra immersi in un'atmosfera ferma a cinque secoli fà. Questo è peraltro solamente il più noto tra i birrifici di Bamberga, ma ce ne sono molti altri che certamente non meritano di passare in secondo piano (anzi) e sotto questo punto di vista l'invidiabile radicamento degli abitanti a questa tradizione birraria unica, ha prodotto ad ausilio del goloso addirittura una mappa della città in cui invece dei ("soliti") monumenti sono segnalate le birrerie ed il museo della birra francone. Sempre in centro, in un palazzetto che aveva tutta l'aria d'averne viste tante, quasi accanto alla maestosa cattedrale si trova la Klosterbräu, il più vecchio birrificio di Bamberga, nel cui piccolo garten sul fiume abbiamo bevuto una bock dorata, la chiara bamberger gold ma soprattutto la schwärzla, specialità della birreria scura e molto maltata come nella miglior tradizione dello stile cui appartiene e per questo con un forte sapore tostato con sensazioni di cioccolato amaro, dovuto all'utilizzo di malti caramellati. In questa piccola città la miglior cosa è camminare, respirando bellezza e storia di ogni angolo di strada e fermarsi spesso per una sosta dissetante nelle birrerie che si incontrano ovunque, perchè non c'è niente di meglio d'una buona birra per prendersi qualche minuto senza alcun pensiero (forse solo apparentemente con meno lucidità). Nella parte più alta delle città c'è invece la Greifenklau, la birreria del grifone, forse la meno nota tra tutte quelle di Bamberga, ma che merita certamente una visita anche solo per sedersi un attimo nel grande giardino panoramico, in cui ho potuto provato una lager sopra la media e vedere come in queste zone sia assolutamente normale che un biergarten da più di 500 posti sia pieno di gente di ogni età, da sola o con famiglia, già dalle prime ore del pomeriggio. Appena fuori fuori dal centro storico c'è invece uno dei migliori e più celebri birrifici della città, la Fässla, che sin dal 1649 spilla le sue note specialità, tra cui la dopplebock più forte di Bamberga, disponibile soltanto tra novembre e maggio, la Bambergator. Mentre in dialetto francone Fässla vuol dire "barilotto", lo stesso che uno gnomo spinge nello stemma della birreria, gnomo si dice Zwergla, che è invece il nome della dunkel del birrificio, ambrata dal gusto dolce e caramellato. Oltre a questa, abbiamo bevuto la Gold-Pils, secca e canonicamente luppolata e la Weizla, saporita birra di grano. Nella stessa via, esattamente difronte alla Fässla, si trova la Spezial, l'unica altra birreria in città oltre alla Schlenkerla, in cui è possibile trovare birre affumicate, come la märzen che ho trovato non male, ma con note affumicate ben meno forti rispetto alla più blasonata cugina zoppa e nonostante questo, secondo me, di minore beverinità. In un pomeriggio passato interamente a bere in giro, ultima tappa è stata la storica Mahr's Bräu dove si possono gustare alcune delle migliori birre della zona. Su tutte indubbiamente l'ungespundet (letteralmente vuol dire "senza tappo"), fantastica specialità francone che viene lasciata maturare in botti appunto stappate, così da ottenere spontaneamente una bassissima carbonazione (e quindi una minore gassossità), per cui bevendo la "U" si può percepire tutto il sapore originale della birra. L'ungespundet oltretutto, come le keller, è nota anche come "birra del contadino" per essere stata a lungo una valida e salutare alternativa ad un pasto per i più poveri, dato il forte contenuto calorico ma soprattutto la presenza di molta vitamina B nei lieviti non filtrati. Non altrettanto particolare ma comunque gradevole anche la Mahr's hell assaggiata in un secondo momento, col magone per non aver trovato nessuna delle tre birre stagionali, una bock, una schwarz e la weisse-bock. Continuando a girare per la città le sorprese birrarie non finiscono facilmente, per non parlare dei dintorni di Bamberga, in cui ognuno dei numerosissimi paesini ha almeno un birrificio (ma spesso di più), tutti a gestione familiare e con una cura del prodotto che difficilmente potrebbe essere superiore (d'obbligo la tappa a Memmelsdorf da Drei Kronen). Appassionati o meno di birra, questa città e tutta la regione della Franconia incantano e meritano veramente una visita, ma se le vorrete vivere anche con un boccale in mano, bè allora il problema si presenterà quando dovrete ripartire..Vi lascio immaginare a questo punto con quanta felicità me ne sia andato, se non fosse che sapevo che mi aspettava una tappa per pranzo che prometteva di non far rimpiangere nulla..

Riscendendo da Bamberga verso sud lungo la nota Romantische Straße, nascosto nella foresta bavarese, cè infatti il monastero laico di Irsee. Non è una meta molto conosciuta, perchè l'omonimo paesino conta poche centinaia di abitanti e non è facilmente raggiungibile, ma una volta seduti nel ristorante del monastero, vedrete che verrete ripagati di ogni fatica. Per quanto la scelta sia ardua, la mia medaglia d'oro della birreria più bella va senza alcun dubbio alle grandi sale della gasthof di Irsee, in cui la vecchia pietra grezza e il legno della costruzione perfettamente conservati, con ampi camini e gli enormi tini di fermentazione della birra al centro della sala, lasciano senza fiato e invogliano incredibilmente a sedersi e cominciare a bere.

Le birre sono strepitose, spillate con dovizia in dei fantastici altglass di coccio lavorato che ne esaltano i fantastici profumi. Abbiamo quindi provato la Kloster-Urtrunk, eccezionale zwickel non filtrata che rappresenta un pò la specialità di Irsee, considerata tra le migliori kellerbier della Baviera, l'altrettanto buona Kloster-Urdunkel ed infine la Kloster-starkbier una strong lager scura e abbastanza forte, per chiudere in bellezza un pranzo eccezionale. Anche in questa birreria un grande sistema di tubi di rame porta la birra appena brassata direttamente alle spine e non c'è dubbio che la freschezza, quando c'è, soprattutto per le "birre di cantina" come la Urtrunk, si sente assolutamente tutta sia al naso che in bocca ed è una goduria. Irsee è un oasi di pace e se passate in zona, non ve la lasciate sfuggire, quantomeno per un giro al museo della birra del paese o soprattutto per provare le specialità offerte dal magnifico birrificio. Da qui, più allegri dopo una mangiata del genere, abbiamo ripreso la macchina per proseguire verso la zona dei castelli di Ludwig, purtroppo per l'ultima tappa birraria: l'abbazia di Ettal.

Questo monastero benedettino perso tra le verdi montagne della Svevia, fu fondato nel 1330 dall'imperatore Ludwig IV il Bavaro, ma solo a partire dal 1700 visse una vera e propria fioritura, che procedette di pari passo con lo sviluppo del barocco in Baviera. Sin dal XVI secolo ormai i monaci producono birre e liquori celebri ben oltre i confini bavaresi, utilizzando i pregiati luppoli dell'Hallertau e l’acqua purissima delle montagne dell’Ammersee, seguendo ricette tramandate da generazioni. Nel ristorante difronte all'abbazia abbiamo provato la Kloster Edelhell, chiara profumata e molto beverina, la Weissbier, dallo strano colore quasi arancio, poco opaca e con scarsa schiuma per lo stile ed infine la doppelbock, la forte e buona Curator, aromatica e maltosa specialità dei monaci per riscaldarsi durante i rigori dell'inverno bavarese.

Con Ettal, molto vicino al confine con l'Austria, si sono concluse due settimane splendide in cui, girando per paesi e città incantevoli, abbiamo provato alcune delle migliori birre della Germania. Ma quello che mi è rimasto più impresso, non è tanto una birra in particolare o la bellezza di qualche antico locale, quanto la passione realmente spontanea che lega i bavaresi a questa bevanda, semplicemente la normalità del bere una buona birra a qualsiasi ora, soli o in compagnia e a qualunque età, con una naturalezza secolare che rappresenta l'unica e più grande differenza tra la nostra produzione e la loro, o quella del Belgio, almeno per ora. Chiudo con due veloci flash: il primo giorno a Tegernsee un paffuto papà, seduto con la famiglia accanto a noi, non ha esitato a ordinare ai due figlietti assetati che avranno avuto sei anni o forse meno, un bel boccale di Helles. A cena alla Mahr's Brau di Bamberga invece, ci si è seduto vicino un vecchietto dall'aria allegra, che per l'età non riusciva più nemmeno a parlare e tenere gli occhi aperti, ma che continuando a sorridere si è scolato al volo un paio di ungespundet sospirando per l'agognata bevuta, ha gentilmente salutato tutti con un cenno ed è uscito sotto alla pioggia.. Bè, l'abbiamo trovato fuori che fumava felice un sigaro sotto la pioggia con un'altra birra in mano. Grüß gott amico, e ovviamente prost!